Roberto Levi
Lofferta è di quelle tipo supermercato: con una confezione di Domenica In (Raiuno, dalle 14 alle 20) ti prendi tre pacchetti: quello iniziale di Mara Venier dalle 14 alle 16 con limmancabile giochino telefonico, per chi proprio non ne potesse fare a meno; quello centrale dalle 16 alle 18 con il talk show su argomenti di varia umanità di Massimo Giletti e la parte musicale guidata da Luisa Corna; quello centrale dalle 18 alle 20 con «nonno» Pippo Baudo (così lha chiamato Jovanotti) impegnato nella riproposta della sua specializzazione degli ultimi anni, la rivisitazione storico-televisiva chiamata questa volta Ieri oggi domani. La Domenica In divisa in tre parti ha un vantaggio: consente al pubblico di fare le sue scelte preventive, a seconda del gradimento o sgradimento dei personaggi e delle preferenze dorario, allinsegna del «so fin dallinizio chi e cosa mi attende, e quando». Inoltre il flusso della trasmissione, così spezzato, è in qualche modo costretto a un minimo d'ordine, con meno rischi di sbracare. Ci sono tempi più precisi e ristretti per ciascuno dei conduttori, e la conseguente necessità di un po di rigore.
Certo, vista la prima puntata, non sembra ci si possa attendere nulla di originale, e questa è una conferma della stagnazione cui sono ridotte da tempo le nostre domeniche televisive e dellincapacità di ripensare ex novo il lungo intrattenimento pomeridiano. Però, se nelle prossime settimane troverà conferma limpressione iniziale, questa sarà per lo meno una Domenica In meno arruffata delle precedenti e con minori possibilità di penose cadute di gusto. La parte più debole sembra senzaltro la prima, non per colpa di Mara Venier «telecomandata» dalla regia di Gianni Boncompagni (senza però lauricolare, che magari servirebbe) ma di un giochino lento, faticoso e assai poco televisivo come quello che si è voluto scegliere. Da casa devono giocare a una specie di Sette e mezzo scegliendo le carte tenute in mano dalla schiera di marinai alle spalle di Mara Venier. Solo che i ragazzi sono inquadrati troppo da lontano, e il meccanismo stesso del gioco è di una lentezza esasperante, per di più prolungato al di là di ogni ragionevole limite.
Alla parte centrale della trasmissione spetterà invece il compito di dare seguito concreto al monito del direttore generale della Rai Meocci, che ha invitato chi fa televisione e lItalia intera a evitare litigiosità controproducenti. Larena di Giletti casca a fagiolo per una verifica, e per il momento gli autori sembrano decisi a pararsi le spalle invitando subito in trasmissione gli esponenti del Moige e di associazioni affini, in modo da non correre il rischio di subire attacchi lungo il corso della settimana. Argomento della prima tavola rotonda vedeva in campo Valerio Merola, la stampa scandalistica, i «mostri in prima pagina». Prima invece Pietro Taricone ha filosofeggiato un po ribattendo alle domande di una schiera di giovani intervistatrici.
La parte più attesa è lultima, affidata a Pippo Baudo in contrapposizione oraria al calcio di Paolo Bonolis. Qui sembra di essere a Novecento, con Baudo che intervista prima Edwige Fenech, facendole vedere immagini del suo passato più o meno vestito, quindi Jovanotti (che prima gli dà del nonno e poi gli dice che ha fatto sempre tanto per i giovani) e poi Anna Falchi, alla quale fa vedere le foto del matrimonio con Ricucci. La chiusura è con i bambini, in omaggio al segmento che guarda al futuro. Baudo gioca con loro, li interroga, si fa raccontare qualche storiella «a tema». È lunica parte che si stacca dalle consuetudini, e si presenta con i connotati di unidea televisiva.
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