Il «mostro» è una cosa che si discosta talmente tanto dalla norma da risultare incredibile, paurosa, quasi oggetto di meraviglia e stupore secondo l’etimologia latina della parola. Ebbene: secondo questa definizione non si è mai visto in tempi recenti un mostro più mostruoso del giubilo dei lavoratori di Alitalia all’annuncio del ritiro della proposta di acquisto da parte di Cai. Ben venga il mostro. Siamo un Paese arrugginito, addormentato, talmente abituato alle nostre anomalie che il trillo della sveglia non serve più, occorre il secchio di acqua gelata e speriamo che basti, perché il passaggio successivo è la rianimazione. Il mondo è cambiato ed evidentemente c’è chi sogna ancora.
La cronaca di questi giorni ci fornisce una clamorosa pietra di paragone: per evitare il peggio, due colossi come Merrill Lynch e Bank of America, che insieme contano più di duecentosessantamila dipendenti, hanno deciso di fondersi concentrando la trattativa in un solo fine settimana e lo stesso amministratore delegato di Merrill, in conferenza stampa, alla domanda su quale sarebbe stato il suo ruolo nella nuova società ha risposto candidamente che di questo non si era ancora discusso, perché l’importante era salvare la società. Da allora i titoli Merrill sono quasi raddoppiati di valore.
Noi invece, per una compagnia aerea che in condizioni normali sarebbe a terra da anni, dobbiamo subire un umiliante teatrino dell’assurdo infinito, con interlocutori diversi ma con la stessa scenetta del rilancio, della lettera di chiarimenti, della controproposta da discutere approfonditamente. Ora basta davvero. In un mondo normale c’è un mercato anche per il lavoro: pretendere un certo reddito è semplicemente un controsenso, indipendentemente dai guadagni dei colleghi esteri: un impiegato a Londra o a New York guadagna tre volte ciò che guadagna un italiano, però, se qualcosa va male, tutto nello scatolone e via a cercare un altro lavoro. Chi ambisce ad essere riconosciuto come portatore di una grande professionalità dovrebbe sapere che il suo stipendio sarà quello che saprà meritarsi. Purtroppo tanti anni di mammella statale hanno cancellato dalla mente il concetto di merito e di mercato del lavoro, hanno intossicato le abitudini dei lavoratori con stipendi e regolamenti fuori mercato. Ecco perché la trattativa è fallita: i sindacati hanno continuato a pensare che dall’altra parte del tavolo ci fosse il solito satrapo politico che giocava con soldi non suoi e che quindi alla fine avrebbe calato le brache nel tripudio generale; invece questa volta hanno trovato un imprenditore che non aveva affatto voglia di giocare e la conclusione è stata inevitabile. Senza contare che tra gli italiani ormai la rabbia e lo sconcerto nei confronti dell’Alitalia è tale che anche il residuo valore del marchio si è probabilmente azzerato. Dispiace veramente per quei lavoratori che, responsabilmente, per mezzo di Cisl, Uil e Ugl, avevano dato la loro disponibilità e verrebbe quasi da auspicare, per quanto improbabile possa essere questa strada, un’apertura di Cai alla creazione di un’«Alitalia dei volenterosi» che lasci fuori i dissenzienti e proceda con quei lavoratori che hanno dimostrato di aver capito.
Una cosa però deve essere chiara: da questa storia dovrà uscire un insegnamento per tutti, forte, limpido, comprensibile. Deve essere evidente a tutti che i bizantinismi non funzionano più e che se l’Italia vuol sopravvivere deve fare un enorme scatto in avanti. Se si inventasse qualcosa per accontentare per l’ennesima volta le pretese di chi non ha avuto problemi a scherzare con il fuoco, il messaggio che risuonerebbe sarebbe grave: si certificherebbe che chi sfascia viene premiato e la cosa non sarebbe dissimile dal cedere al presidio contro l’alta velocità o contro un termovalorizzatore. Il tempo è scaduto da un pezzo, incenerire il trasporto aereo di un Paese dalle potenzialità straordinarie (e con relativo expo in tasca) per errate valutazioni dei propri interessi e per giocare a fare i duri e puri è un danno pesantissimo ma premiare gli irresponsabili con spesa della collettività sarebbe intollerabile e aprirebbe la strada al conflitto totale con tutti, legittimando un comprensibile «perché loro sì e noi no?».
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