Lo fanno tutti, per carità. Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Führer, e Giuseppe Stalin, «taroccatore» insigne, sono stati dei maestri, dei capiscuola. Ma anche noi giornalisti, nel nostro piccolo, non abbiamo bisogno di prendere lezioni da nessuno. Nei casi più imbarazzanti - ma siamo al banditismo ideologico, alla mascalzonaggine - si chiama disinformazione. Detto alla russa fa venire in mente le facce dei signori appena citati. Roba da KGB.
In fondo, ci diciamo noi giornalisti, che male cè a ritoccare una fotografia, unimmagine? Le telecamere che inquadrarono la caduta della statua di Saddam, sulla piazza del Paradiso, a Bagdad, diedero limpressione che si trattasse di una folla immensa che abbatteva, simbolicamente, il tiranno e il suo regime. La verità è che in quella piazza ci saranno stati sì e no un paio di centinaia di ragazzotti resi euforici più dalla presenza delle telecamere che dalla libertà ritrovata. Ma bastò «stringere» il campo, riprendere quel manipolo da vicino per dare limpressione, nei telegiornali della sera, di una folla oceanica che si era riversata sulle strade della capitale irachena. Vi ricordate quanti gerarchi del Politburo «sparirono» letteralmente da certe foto di regime, quando il regime decise che quelle facce erano buone solo per il gulag?
I giornali, in genere, non arrivano a tanto. In genere si toglie un po di contorno, in una foto, per esaltare limmagine su cui si vuole attirare lattenzione, per sottolineare un aspetto dellavvenimento. E non è detto che sia un male. Anzi, spesso la foto, e il soggetto ritratto, ne guadagnano. Solo, visto che lo fanno tutti, bisognerebbe evitare di vestire i panni dei maestrini dalla penna bianca ed ergersi a censori delle altrui debolezze, almeno quando son tali. Chi, per esempio, si sarebbe aspettato di vedere i nobili e superciliosi colleghi dellEconomist, queste vestali dellinformazione tutta dun pezzo, questi puntuali bacchettatori di noi italianuzzi pasticcioni e mariuoli, nei panni dei «taroccatori»? Invece è accaduto. E un po dispiace, diciamo la verità. Avevamo un punto di riferimento, una meta che era un mito, noi del ramo cadetto: e vedere il grande, incorruttibile giornalismo britannico finire nella polvere stringe il cuore.
Ed eccoci al dunque. Il settimanale britannico è stato criticato per aver ritoccato pesantemente una foto Reuters del presidente Barack Obama in visita alle coste del Golfo colpite dalla marea nera.
Nella foto originaria Obama è sulla spiaggia della Louisiana, in maniche di camicia come nei giorni del post terremoto allAquila. Accanto a lui ci sono un uomo e una donna. Lei è una signora bassina, in giacca bianca, le spalle rattrappite, come di una che stia dicendo: «Ecco, vede, signor presidente, che razza di casino?». Si chiama Charlotte Randolph, la tipa, ed è una quidam della politica locale. Laltro, in divisa da sceriffo, è nientepopodimeno che lammiraglio Thad Allen. Peccato che nella foto della copertina dellEconomist (titolo: «Obama contro Bp») il presidente è da solo. E gli altri due? Spariti, cancellati. Certo, la foto così ci guadagna, limmagine è più emozionante, siamo daccordo. In fondo, dov'è lo scandalo? Fosse stata di unagenzia qualsiasi, nessuno forse si sarebbe accorto di nulla. Ma è della Reuters, la foto. E la Reuters, tra le agenzie, è quel che lEconomist è fra i giornali. Anche se poi è lagenzia che aveva taroccato una sua foto, privandola di un coltello pacifista, scattata durante il raid israeliano contro la flottiglia diretta a Gaza. Comunque, si sentono gli Stradivari, i Guarneri delle notizie, i ragazzi della Reuters; come unorchestra sinfonica in mezzo a tante bande di paese. Di qui le proteste formali dellagenzia, che però e il conseguente, leggero sputtanamento dellEconomist al quale siamo fieri di contribuire. In casi del genere basterebbe un sorriso a denti stretti e un biglietto di scuse. Invece la vice direttrice del settimanale, tale Emma Duncan, ha peggiorato le cose.
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