E l’Olona tradì i magnifici sette di via Osoppo

Viaggio nella nera milanese: dal mitico colpo del 1958 alla strage della banda Cavallero

Il dopoguerra, la ricostruzione, la metropolitana, la torre Velasca, la nebbia. Ma anche Ciappina, Brancher, Lutring, Nardone. Poi negli anni ’60 Milano viene travolta dal boom economico che stravolge lo «sky line» cittadino, i rapporti sociali e dunque persino la malavita, la «ligera». L’Italia cresce tumultuosamente, abbandonata la sua origine contadina per avviarsi a diventare la sesta potenza industriale al mondo. E la vecchia guardia sarà superata da Cavallero, Vallanzasca, Turatello ed Epaminonda. Anche questi, a loro volta, travolti, dal terzo mutamento sociale del dopoguerra, che avrebbe portato agli «anni di piombo». Prima però la polizia d’estate vestiva ancora con la giacca bianca, che faceva sembrare gli agenti dei gelatai, e usciva a piedi, macchine ce n’erano «minga», neanche per la «pula». Giravano i primi soldi e qualcuno cercava di afferrarli «al volo». Come quel famoso giovedì 27 febbraio del 1958, via Osoppo, ore 9.30. Sette banditi in tuta blu da operaio assaltarono un furgone portavalori e scapparono con una settantina di milioni. Tute blu che tradiranno i banditi. Ripescate dall’Olona permetteranno agli investigatori di risalire al negozio che le aveva vendute e agli acquirenti. Tra loro anche Ugo Ciappina, già componente della «banca ovunque» per la capacità di colpire quasi simultaneamente in tutta Milano. Classe 1928, Ciappina, ritenuto la «mente del colpo», quel giorno con il mitra in mano teneva a bada i passanti facendo «tatatatatata» con la bocca. Allora nessuno avrebbe mai pensato di sparare.
È di tre anni più giovane Bruno Brancher, nato nel ’31 da madre contadina e padre ignoto. Esordisce rubando una bicicletta appoggiata al muro del Vigorelli. Era di Fausto Coppi, lui mica lo sapeva, e questo lo proietta agli onori della cronaca nazionale. Poi si mette a fare spaccate alle gioiellerie. Anche perché le rapine non può farle: è balbuziente. Parla male ma sa scrivere e in carcere si politicizza, sposa le lotte dei detenuti per migliorare la situazione carceraria. Diventa popolare come poeta e scrittore, poi un rapido declino mentale che ora lo fa sembrare un «bambino smemorato».
Ma ormai ci stiamo affacciando agli anni ’60, gira sempre più grano, ci sono modelli d’Oltreoceano da imitare. Come Luciano Lutring, nato a Trieste nel 1937, da madre milanese e padre ungherese, fantino giramondo e poliglotta, che gira in Cadillac e con la pistola sempre in mostra. La sua prima rapina è a un ufficio postale: entra per fare un pagamento, l’impiegato vede spuntare dalla cintola la Smith & Wesson e gli mette il contenuto delle casse sul bancone. Le «madame» vanno a fargli un «perquisa» in casa e trovano un mitra nascosto nella custodia di un violino. E lui diventa immediatamente «il solista del mitra». Emigra in Francia dove nel ’65 viene coinvolto in un conflitto a fuoco in cui rimane paralizzato un «flick», un poliziotto, e lui gravemente ferito. «Non ho sparato io» giurerà per tutta la vita. Graziato prima da Pompidou, nel ’73, quindi estradato in Italia e graziato anche da Leone, dal ’77 è un uomo libero che si è rifatto una vita scrivendo libri e dipingendo quadri di un certo spessore artistico.
Dall’altra parte c’è Mario Nardone, mitico (e mai aggettivo fu più meritato) capo della Mobile. Arrivato nel dopoguerra a Milano dal Sud, partecipò a tutte le principali indagini, dal caso Rina Fort (che uccise la moglie incinta e i tre figli del suo amante) nel ’46, intrecciando il suo nome con quelli di Ciappina, Brancher, Lutring. Trattava tutti con grande umanità e rispetto, si ricordava dei «nemici» in carcere, chiudeva un occhio su qualche reato minore. Ma sapeva tutto di tutti.
Poi arriva il 25 settembre 1967. Pietro Cavallero con Sante Notarnicola, Adriano Rovoletto e Donato Lopez assaltano una banca. Intercettati dalla polizia sparano sui passanti per scoraggiare l’inseguimento: muoiono quattro persone, tre per i proiettili e una d’infarto, altre 21 vengono ferite. Si alza il livello dello scontro. Irrompono sulla scena Turatello, Epaminonda, Vallanzasca. Arriva la grande malavita organizzata, fa la sua comparsa il terrorismo politico.

Le regole sono sovvertite, la «ligera» scompare, tutto e tutti si incarogniscono e San Vittore non sarà mai più quello dei «quaranta dì e quaranta not».

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