Cultura e Spettacoli

E ora Berlino riscopre il Papa Pacelli antinazista

da Berlino
Era la sera del 23 febbraio 1963 quando a Berlino fu rappresentato, per la prima volta in un grande teatro, Il Vicario di Rolf Hochhuth, il lavoro che accusava Papa Pacelli di scarsa sensibilità nei confronti dello sterminio degli ebrei e di simpatie verso il nazismo. La pièce ebbe una risonanza enorme ed è considerata l’evento che scatenò quell’ondata denigratoria contro Pio XII in cui si mescolavano considerazioni e sentimenti che nulla avevano a che fare con la verità storica. Da allora sono passati 46 anni durante i quali sono emersi documenti, fatti e testimonianze che dimostrano tutto il contrario di quanto sostenuto ne Il Vicario. E anche la città di Berlino ha voluto compiere un atto riparatore, dedicando alla figura di Papa Pacelli una mostra che ricorda il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati e la sua avversione sia al regime, sia all’ideologia del Terzo Reich.
La mostra, allestita nella solenne cornice del castello di Charlottenburg, uno dei luoghi simbolo di Berlino, si compone di documenti, fotografie, oggetti personali, registrazioni sonore e filmati provenienti in gran parte dagli archivi del Pontificio comitato di scienze storiche e in parte di materiale fornito da ricercatori tedeschi. Per esempio ci sono alcune citazioni tratte dai diari di Goebbels, il ministro della propaganda di Hitler, che così scriveva il 27 dicembre del ’39: «Il Papa ha parlato il giorno di Natale e come sempre le sue parole contengono attacchi nascosti contro di noi, contro il Reich, contro il nazionalsocialismo». E il 10 agosto del ’43, a proposito di un intervento della Santa Sede a favore della popolazione polacca, Goebbels scrive nel suo diario: «È ormai evidente che Pacelli è un nostro nemico».
Un rapporto altalenante, quello tra Pio XII e Berlino. Nella capitale tedesca Eugenio Pacelli soggiornò nove anni come Nunzio Apostolico, dal ’20 al ’29, dopo essere stato Nunzio a Monaco. Anni segnati da un’intensa attività diplomatica e apostolica, ma anche felici sul piano umano. In una lettera al fratello Francesco scrive che spera di rimanere a lungo a Berlino. Per la sua partenza, la città organizzò una fiaccolata di tre chilometri, dalla Nunziatura alla Anhalter Bahnhof. E l’idillio continuò anche dopo la guerra, tanto che nel ’49 gli fu dedicata una strada, la Pacelliallee. E alla sua morte l’allora borgomastro, il socialista Willy Brandt, il futuro Cancelliere e premio Nobel per la Pace, inviò il seguente telegramma al Collegio cardinalizio: «La sua lotta a difesa dei valori umani, contro ingiustizie, soprusi e violenza non sarà mai dimenticata». Invece tutto fu dimenticato la sera del 23 febbraio del ’63.

Per fortuna non per sempre.

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