da Berlino
Il Festival di Berlino non rivela il programma tutto insieme, ma giorno per giorno. È un modo come un altro per farsi notare, ma anche per togliere ogni interesse alla conferenza stampa annunciata nella capitale per il 30 gennaio. Dopo la nomina di un grande sceneggiatore (Taxi Driver, Yakuza) e regista (American Gigolo, Mishima), Paul Schrader, a presidente della giuria e quella di un grande attore ma non un divo, come Mario Adorf (A cavallo della tigre di Luigi Comencini; Milano calibro 9) a componente della medesima, la notizia di ieri è anche più interessante: Clint Eastwood presenterà (fuori concorso) Letters from Iwo Jima, complemento del suo Flags of Our Fathers.
Nella città simbolo della II guerra mondiale, Berlino, si vedrà dunque la sua prima battaglia sul suolo del Giappone, vista dalla parte dei difensori. È un evento, perché qui la coda di paglia della sconfitta brucia ancora. Nel 2000 il film d'apertura, Il nemico alle porte di Jean-Jacques Annaud, mostrava la battaglia di Stalingrado tifando per i russi!
Le altre inclusioni annunciate ieri sono Der Fälscher di Stefan Ruzowitzky, sulla falsificazione da parte tedesca delle sterline inglesi sempre durante la seconda guerra mondiale. E ancora due decenni di storia del '900 tornano in I Served the King of England di Jiri Menzel, tratto da un romanzo di Bohumir Hrabal. Con i già annunciati The Good Shepherd di Robert De Niro, con De Niro stesso, Matt Damon e Angelina Jolie (storia di un ventennio dell'Oss, poi Cia); e con The Good German di Steven Soderbergh, con George Clooney, Tobey McGuire e Cate Blanchett (sul convulso dopoguerra proprio in una Berlino divisa fra le quattro potenze vincitrici), il Festival conferma la sua tipica scelta di temi connessi alla sua immagine di capitale per eccellenza della Guerra fredda.
Sotto la gestione di Dieter Kosslick - socialdemocratico, che l'anno scorso orientò goffamente la Berlinale come baluardo antiberlusconiano - la manifestazione è uscita dal masochismo nazionale dei «tedeschi mai abbastanza cattivi, antitedeschi mai abbastanza buoni», del quarto di secolo di Moritz De Hadeln direttore.
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