Ci sono alcuni equivoci, sul tema Malpensa, che vanno chiariti. Il primo deriva dalla confusione molto diffusa tra «slot» e «diritti di traffico». Gli slot sono delle finestre orarie accordate a una compagnia per un decollo o un atterraggio, non importa la destinazione. I diritti bilaterali di traffico sono le autorizzazioni che il governo, in virtù di un accordo con il governo di un altro Paese (extraeuropeo ed extra Usa) dà a una compagnia per effettuare i collegamenti con quel Paese. Molti dicono: a Malpensa si liberalizzino gli slot! Sbagliato. Malpensa ha una grande quantità di spazi temporali, e chiunque ne faccia richiesta li può ottenere. È corretto dire: si liberalizzino gli accordi con gli altri Paesi, per permettere collegamenti che attualmente da Milano non vengono effettuati, o per aumentare la loro frequenza. Sono circa 25 le compagnie che hanno fatto richiesta di nuovi voli (verso Giappone, Brasile, Russia, Hong Kong, Corea, Malesia, Bangladesh, eccetera); il governo più volte si è espresso favorevolmente, ma finora non è accaduto nulla. «Cose lunghe», si sente ripetere, anche in virtù della loro «bilateralità».
Ma non si pensi - altro equivoco - che, se la tanto invocata liberalizzazione dei diritti venisse attuata completamente, con un tocco di bacchetta magica Malpensa (ri)acquisterebbe il ruolo di hub. Rafforzerebbe, semplicemente, le sue caratteristiche di aeroporto intercontinentale. Anche qui va fatta un po di chiarezza sui termini. Un «hub» è un aeroporto di transito, dove passeggeri raccolti da località di medio raggio proseguono per il lungo raggio: arrivano con aerei piccoli e se ne vanno con aerei grandi. «Hub» è il mozzo della ruota, «spoke» è il raggio: di qui la metafora. Un hub nasce dal presupposto che una grande compagnia possa fare questo lavoro di raccolta e di smistamento in una logica di network, cioè di «rete». Via aerea. Se i passeggeri arrivano allaeroporto in pullman, in auto, col treno; se cioè laeroporto viene alimentato «via terra» e serve un bacino regionale o poco più, non si parla più di hub, ma di scalo intercontinentale. È chiaro che il concetto di hub può sviluppare dimensioni di gran lunga maggiori.
Non ci sono casi al mondo di hub nati senza una compagnia di riferimento; e non ci sono, o quasi, hub nei quali il lungo raggio e il breve-medio al suo servizio sono operati da compagnie diverse. Ergo: Malpensa non potrà essere, in una prospettiva immediata, un hub. Ma anche se aumenterà le destinazioni di lungo raggio, in chiave «intercontinentale», non potrà essere competitivo in Europa: la qualità offerta al passeggero è fatta di ampiezza e flessibilità dellofferta. Esempio: da aeroporti come Parigi o Francoforte, nellarco di mezzora partono tre, quattro voli per lIndia, ciascuno per una città diversa. Il passeggero vuole sempre il miglior servizio e più vicino possibile: non glimporta dove sia lhub di scalo, glimporta muoversi quando vuole, scegliere gli orari. La flessibilità è la qualità più richiesta dagli uomini daffari, coloro più disposti a spendere. Per loro che lhub sia in un Paese o in un altro poco importa: così come allacquirente di una Fiat non importa se è fabbricata a Melfi o in Polonia. Un hub, in altri termini, è uno stabilimento industriale: si sceglie il prodotto, non la fabbrica. Negli anni Settanta una compagnia lungimirante come American Airlines non esitò a trasferire la sua base da New York a Dallas e «inventò» lhub-and-spoke. Diventò in breve la più grande del mondo.
Per il suo futuro Malpensa - dopo che Alitalia con Air France ha «scelto» Fiumicino - spera in Lufthansa che ora, svincolata dalle tarantelle politiche, può concentrarsi, con la Sea, allo sviluppo dello scalo. Da febbraio partono i primi voli per otto città dEuropa come Barcellona, Bruxelles, Budapest, Lisbona, Bucarest, in una logica di collegamento diretto.
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