«La sopravvivenza di Alitalia è legata ad un piano industriale credibile e ad un sistema Paese che si metta dietro ad una compagnia aerea». Il presidente di Confindustria (organizzazione alla quale molti degli attuali soci sono iscritti), Giorgio Squinzi, non ha fatto mistero di nutrire qualche riserva sui destini della ex compagnia di bandiera e sulla sua capacità di poter «competere a livello globale». E forse non è un caso che questi stessi dubbi siano stati esposti nelle sedi opportune da alcuni componenti della compagine azionaria.
L'analisi delle risorse sbloccate venerdì rivela particolari decisivi. I 130 milioni sono stati versati nelle casse di Alitalia dai soci (Intesa Sanpaolo, Atlantia e Immsi) e dal consorzio di garanzia: il gruppo di Ca' de Sass e Unicredit hanno anticipato 65 milioni sui 100 milioni di impegno sottoscritto.
Si è guadagnato così tempo nell'attesa che Air-France-Klm (75 milioni) e, in seconda battuta, qualche altro socio italiano possa partecipare alla ricapitalizzazione da 300 milioni. Se non fosse giunta la lettera di garanzia delle Poste, difficilmente l'impasse - durata un paio di giorni - si sarebbe sbloccata. Da una parte, infatti, c'è l'ingombrante socio francese che vuole la garanzia di un drastico ridimensionamento di flotta e organici per proseguire l'alleanza. Dall'altro lato, ci sono le banche, che non solo sono creditrici ma anche azioniste (Intesa ha il 10%, Unicredit lo diventerà sottoscrivendo l'eventuale inoptato) e vogliono impegni seri da parte degli altri soci industriali visto che la società ha oltre 200 milioni di debiti a breve in scadenza (a partire dal kerosene per gli aeromobili).
Immsi ha sottoscritto poco più della metà dell'importo di pertinenza (13 milioni contro 21 milioni), probabilmente per lanciare un messaggio agli altri «capitani coraggiosi». Le banche non sono state sicuramente «avare» ma è chiaro che l'ad Gabriele Del Torchio avrebbe sicuramente preferito avere in cassa 150 milioni, cioè una ventina di milioni in più nel complesso. L'unica ad aver fatto il proprio dovere per intero è Atlantia (26 milioni) cui il business aereo è strettamente connaturato vista la prossima fusione con Gemina.
Il resto è ancora un punto interrogativo. Detto di Air France-Klm nel resto della compagine italiana non regna certo l'armonia. Il fondo Equinox di Salvatore Mancuso lamenta di essere stato spesso scavalcato nelle decisioni strategiche e magari preferirebbe una partnership diversa. Sulla stessa lunghezza d'onda altri piccoli soci anche se alle posizioni più «morbide» di Maccagnani, fa da contraltare l'atteggiamento più freddo di Pirelli e del gruppo Gavio.
Ricordato che un gruppo extraeuropeo non può possedere la maggioranza di un vettore Ue, si potrebbe tornare a bussare alla porta degli emiri di Etihad (anche i loro partner cinesi di Hainan Airlines sarebbero interessati) e o alla russa Aeroflot. I soci italiani manterrebbero il 51% e l'italianità della compagnia sarebbe salva. Ma è solo un'ipotesi.
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