La domanda è sempre uguale: quando il nostro Paese metterà il turbo, se lo metterà mai. Questa è una domanda che non soddisfa solo le recondite ansie di ogni economista ma che riguarda tutti noi. L’Italia è costretta in una gabbia da circa un decennio e questa gabbia è rappresentata dal grafico che segue ma che in termini borsistici è rappresentato dalla congestione decennale dei nostri indici di borsa:
Ora siamo in una situazione in cui diversi indicatori macroeconomici puntano al rialzo come non mai negli ultimi 20 anni e quello più stupefacente di tutti è quello del sentiment economico italiano che ha toccato il massimo proprio degli ultimi 20 anni. Diciamo subito che gli indicatori di sentiment sono delle manifestazioni di volontà, delle intenzioni, uno stato d’animo e non sono il PIL che invece sono soldini sonanti. Sono due mondi diversi, prima viene il sentiment e di solito poi segue il PIL. Se manca il sentiment raramente il PIL vola. Quindi per il momento accontentiamoci del PIL coscienti che meglio quello di niente.
A livello di Borsa si ripete questo dilemma: siamo sul tetto di un canale orizzontale che dura dal 2008 ad oggi e ora che gli indici oscillano pericolosamente sul tetto della congestione il dubbio è se scendano fino al pavimento della congestione o se invece possano sfondare tutto e finalmente veder la luce.
Operativamente per chi crede alle strategie trend following la domanda diventa assillante: in questo momento le strategie di breakout o di trend following infatti potrebbero diventare esiziali perché se invece di un trend al rialzo ci ritroviamo a capitolare al ribasso dovremmo ovviamente affrontare una situazione incresciosa. E’ infatti una situazione che noi abbiamo deciso di evitare limitando per il momento di comprare sui massimi sperando in una prosecuzione del rialzo e rimanendo invece concentrati sulle azioni che hanno stornato pur mantenendo buoni fondamentali.
Parlando con un mio conoscente oggi sul bagnasciuga mi chiedeva un parere sulle riforme di Draghi. Non sono nient’altro che i compiti che ci ha imposto l’Europa e sono cose ordinarie in un paese civile. Che le riesca a portare a termine questo è un altro paio di maniche: leggevo oggi sulla stampa italiana del progetto di introdurre delle norme anti –delocalizzazione. In altre parole siccome la giustizia non funziona, la sanità soprattutto al Sud è allo sfascio, le infrastrutture sono borboniche, l’amministrazione pubblica è alla frutta e gli investitori stranieri scappano e le aziende italiane buone de localizzano ecco che per regio decreto puniremo con le baionette chi vuole fare impresa e gli impediremo di scappare dal gulag.
Se questo è l’andazzo mentale del Paese capite che Draghi può fare davvero poco. Infine una osservazione rispetto ai tanti che mi hanno scritto criticando le mie parole circa i festeggiamenti incauti dei campionati europei: non voglio pubblicare lo studio riportato da un grande quotidiano italiano che appunto certifica come alla base di questo trend al rialzo ci siano i campionati europei di calcio perché sarei quasi scontato. Riporto invece il grafico della situazione nel Regno Unito, che a quanto pare condivide con il belpaese il delirio per il fenomeno calcistico.
La cosa
che dispiace di più è che scrivo qualcosa di economia o di finanza non fiata nessuno, se tocchi il calcio scoppia il finimondo. Poi ci ritroviamo a parlare del gap nella crescita del PIL italiano con il resto del mondo …- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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