Generali va alla sfida del dividendo

Presto un cda per decidere se ridurlo o rinviarlo. Le pressioni di Authority e grandi soci

Generali va alla sfida del dividendo

Cedola o non cedola? Il destino (finanziario) di oltre 190mila azionisti di Generali è appeso a un filo, a iniziare da quello di Mediobanca che potrebbe dover dire addio ai 197 milioni di euro di dividendo (dai 182,4 milioni di un anno fa) portati in dote dalla sua partecipazione nel colosso assicurativo (13,03% del capitale).

Il braccio di ferro è in corso ormai da settimane tra chi invita il Leone alla prudenza, conformandosi così alle direttive delle authority nazionali ed europee, e chi invece fa affidamento sul cedolone che quest'anno dovrebbe attestarsi a 0,96 euro per azione (per un totale di 1,513 miliardi, in aumento del 6,7% rispetto allo scorso anno) con un rendimento intorno al 7,5 per cento. Non poco, innanzitutto per Piazzetta Cuccia per cui Generali rappresenta una partecipazione d'oro anche grazie al costante flusso di cedole. Si consideri che la divisione principal investing di Mediobanca, in cui è sostanzialmente gestita la partecipazione nel Leone di Trieste, ha contribuito sugli utili dell'ultimo esercizio della banca d'affari per 314,2 milioni (su un utile netto rettificato di gruppo di 860 milioni).

In gioco entrano anche altri grandi investitori come il gruppo Caltagirone che, per il suo 5,13% (di cui uno 0,12% acquistato proprio in questi ultimi giorni), conta di ricevere 77,6 milioni; la Delfin di Leonardo Del Vecchio che dovrebbe incassare 73,53 milioni per il 4,86%; la Edizione dei Benetton che conta su una cedola di 60,5 milioni per il 4% e le famiglie Boroli-Drago che dovrebbero ricevere 25,7 milioni per l'1,7% del capitale. Somme a cui dire addio potrebbe non essere piacevole, soprattutto in temi di magra come questi.

Il fatto è che il richiamo alla prudenza da parte della authority non si limita al suggerimento di mettere a riserva gli utili destinati a dividendo in vista del probabile tsunami economico che seguirà quello sanitario in corso. Ivass ed Eiopa infatti invitano alla moderazione anche per quanto riguarda gli stipendi dei top manager, soprattutto per quanto riguarda la parte discrezionale. Una divergenza tra le due posizioni sarebbe difficile da spiegare agli azionisti. Soprattutto agli investitori stranieri (che rappresentano il 36% del capitale del Leone) sempre attenti a queste tematiche.

Nella relazione sulla remunerazione emerge ad esempio che l'ad Philippe Donnet sul 2019 ha percepito 4,5 milioni di euro (di cui 2,67 circa di bonus) a cui vanno aggiunti i compensi in azioni per la parte di competenza 2019 fino a 1,63 milioni. Complessivamente i top manager della compagnia assicurativa, tra membri del cda e 17 dirigenti strategici, hanno percepito 30,5 milioni più altri 8,09 milioni di compensi in titoli per un totale che sfiora i 40 milioni.

Una decisione potrebbe essere presa a giorni dal cda, probabilmente prima del 16 aprile data prevista per il deposito delle azioni in vista dell'assemblea del 30 aprile. E la battaglia tra interessi divergenti si preannuncia agguerrita in attesa che magari arrivi la conferma al dividendo di Allianz che aprirebbe la strada anche a Generali.

L'annuncio della proposta di cedola da parte del cda era avvenuto il 13 marzo prima dell'apice della pandemia. Poi la sospensione della decisione da parte di Cattolica Assicurazione, il congelamento della cedola di Unipol (che però ha confermato il dividendo di UnipolSai) e gli inviti sempre più stringenti di Ivass ed Eiopa hanno innescato una riflessione anche ai piani alti di Trieste. Tanto che il collegio sindacale di Generali ha richiamato il cda a un approccio di ragionata prudenza, coerente con l'attuale situazione di incertezza. C'è da dire tuttavia che il Leone di Trieste presenta una disponibilità di cassa di 3,5 miliardi (in teoria destinata ad acquisizioni) e coefficienti patrimoniali (Solvency Ratio II) elevati (224% a fine dicembre, 200% a marzo) che, a detta dei broker, assicurano un buon margine di manovra anche in caso di volatilità sullo spread.

Uno dei maggiori punti interrogativi infatti riguarda i Btp in portafoglio che, a fine dicembre, ammontavano a 62,7 miliardi e che potrebbero subire le conseguenze di un aumento della percezione del rischio Paese (aumento dello spread di cento punti porti a una diminuzione della solvency ratio di 15 punti base).

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