L’inflazione sale all’1,5% annuo. Finisce l’era «zero aumenti»

In aprile l’inflazione è creciuta più che a marzo e si è portata a un nuovo massimo dal febbraio 2009. L’aumento mensile è dello 0,4%, il dato tendenziale è dell’1,5% annuo. Questi i numeri diffusi ieri dall’Istat, che attribuisce l’aumento soprattutto all’aumento dei prodotti petroliferi. Si tratta, in altre parole, di inflazione «importata», non provocata dalla domanda. Anzi, i consumi ancora bassi - come sottolineano gli esperti - compensano in qualche modo la dinamica degli aumenti legati alle materiue prime. É boom, infatti, in particolare per la benzina, più cara del 16,7% rispetto a un anno fa, e per il gasolio (+15,9%). Escludendo il comparto energetico l’inflazione ad aprile si sarebbe fermata a +1,3%, invece del +1,5% registrato. Sembra finire un’era: quella dell’inflazione a zero, dei tassi ai minimi, dell’illusione di aver battuto il carovita. Invece dovremo in futuro fare i conti con prezzi in aumento e con una dinamica economica più vivace: non sarà necessariamente peggio, ma sarà diverso. Una lieve inflazione fa bene: ma, secondo gli studiosi, non deve superare il 4%.
Un leggero sollievo per le tasche degli italiani viene solo dai prodotti alimentari, che (per la prima volta dal giugno 2005) registrano complessivamente un calo dello 0,1% rispetto ad aprile 2009. Comprare frutta e verdura, in particolare, secondo le rilevazioni dell’Istat, costa rispettivamente il 4,9 e lo 0,2% in meno. In calo anche i prezzi della pasta (-1,6% annuo) e del latte (-2%). Tanto che le principali associazioni di categoria, a cominciare da Confagricoltura e Coldiretti, parlano del contributo «di stabilità» delle aziende agricole nel contenimento dei prezzi. Secondo le principali associazioni dei consumatori le famiglie subiranno un aggravio di spesa da 450 euro annui.
Anche i prezzi alla produzione industriale, che solitamente anticipano l’andamento futuro dell’inflazione, hanno registrato a marzo un incremento dello 0,5% su base mensile e addirittura dell’1,7% su base annua: è un segnale di surriscaldamento. Anche in quest’ultimo caso - sottolinea l’Istat - si tratta di un record: è il maggiore rialzo dall’inizio della crisi, ovvero almeno da ottobre 2008.
Secondo l’Isae, nel breve periodo la dinamica dei prezzi potrebbe continuare a seguire un profilo in contenuto aumento. Le attese inflazionistiche degli operatori economici, elaborate dall’istituto, nell’ultimo mese hanno segnalato un cambiamento di ottica per gli imprenditori, che prospettano una dinamica dei prezzi più sostenuta, scontando i maggiori costi energetici. Ieri è stato diffuso anche un sondaggio di Affaritaliani.it-Swg secondo il quale per quasi un italiano su due (per la precisione, il 45%) la crisi non è finita, per l’altra metà il peggio deve ancora arrivare; solo il 12% pensa che la recessione sia finalmente alle spalle.
Un’inflazione in leggera crescita secondo gli economisti non deve tuttavia preoccupare, perchè si tratta di uno stimolo all’economia. Osserva Mario Spreafico, direttore degli investimenti di Scroders Italia: «Oggi un Bot a un anno rende l’1% lordo, e si confronta con un’inflazione dell’1,5%. É evidente che si assiste a un’erosione di ricchezza. Il dato negativo spinge a una diversa propensione del rischio: la liquidità, che non viene remunerata, viene indirizzata verso investimenti potenzialmente più convenienti, e ciò spiega la forza attuale delle Borse mondiali che, a parte alcune eccezioni tra cui Milano, da inizio anno stanno registrando risultati positivi, a cominciare da New York. Molti titoli azionari, inoltre, staccano cedole ormai molto più alte di un titolo di Stato»
Il dato dell’inflazione di oggi è provocato soprattutto dal comparto delle materie prime energetiche, proprio quello che, prima dell’esplosione della crisi, con la sua eccessiva finanziarizzazione già spingeva su un rincaro dei prezzi.

«Le materie prime - avverte Spreafico - anche oggi sono fortemente speculate e i loro rincari generano inflazione. Ma questa in Italia è calmierata dai consumi ancora bassi, che invece galoppano in numerosi Paesi emergenti».

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