Economia

Lavoro, l'Istat avvisa: salari fermi da 20 anni, mai così tanti precari

In vent’anni i salari reali sono rimasti fermi. In 11 anni l'Italia ha avuto la peggiore performance economica. E la crescita tornerà solo nel 2013

Lavoro, l'Istat avvisa: salari fermi da 20 anni, mai così tanti precari

Tra il 1993 e il 2011 le retribuzioni contrattuali in Italia in termini reali sono rimaste ferme. Nel suo rapporto annuale l'Istat ha spiegato che ci sono ancora forti disuguaglianze in tema di povertà: al Sud sono povere 23 famiglie su 100, al Nord 4,9 (dati 2010). Il 67% delle famiglie e il 68,2% delle persone povere risiedono nel Mezzogiorno. Secondo l'istituto di statistica, in Italia c'è una bassa fluidità sociale tanto che le opportunità di miglioramento rispetto ai padri "si sono ridotte e i rischi di peggiorare sono aumentati". Rara, insomma, la salita sociale solo l’8,5% di chi ha un padre operaio riesce ad accedere a professioni apicali.

I salari reali sono al palo

Secondo l'indagine dell'Istat, i salari reali sono rimasti fermi negli ultimi vent’anni, con la capacità di risparmio degli italiani che si è progressivamente ridotta. Nel rapporto annuale l'istituto di statistica ha infatti sottolineato che "tra il 1993 e il 2011 le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno". "Negli ultimi due decenni - ha continuato l’istituto di statistica - la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio". Nel complesso dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1% in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5%.

La crescita del pil in Italia

Dal 2000 a oggi il Belpaese ha avuto la peggiore performance economica nel Vecchio Continente, con una crescita media annua solo dello 0,4%. L’Istat ha spiegato che tra il 1992 e il 2011 l’economia italiana è cresciuta in termini reali a un tasso medio annuo dello 0,9%. "La sua performance è stata migliore nel periodo 1992-2000 (+1,8% in media annua) - si legge nel rapporto dell'Istat - mentre tra il 2000 e il 2011 la crescita media annua rallenta, attestandosi allo 0,4%". Con un punto percentuale in meno all’anno l'Italia si colloca, infatti, in ultima posizione tra i 27 stati membri, con un consistente distacco rispetto sia ai paesi dell’Eurozona sia a quelli dell’Unione europea nel suo complesso. E non solo: il pil italiano quest’anno subirà una contrazione dell’1,5% per poi aumentare dello 0,5% nel 2013 trainato dalle esportazioni.

Mai così tanti precari

Secondo l'Istat i precari non sono mai stati così numerosi tra i lavoratori dipendenti dal 1993. Negli ultimi vent’anni sono, infatti, aumentati di quasi il 50%. L'istituto di statistica ha, poi, spiegato che "dal 1993 al 2011 gli occupati dipendenti a termine sono cresciuti del 48,4% a fronte del +13,8% per l’occupazione dipendente complessiva. Nel 2011 l’incidenza del lavoro temporaneo sul complesso del lavoro subordinato è pari al 13,4%, il valore più elevato dal 1993, e supera il 35% (quasi il doppio del 1993) fra i 18 e i 29enni". Tra il 1993 e il 2000 rimane sostanzialmente stabile intorno al 40% il tasso di permanenza, a distanza di un anno, dei 18-29enni nel lavoro dipendente a termine. Dopo il 2000, ha spiegato l'Istat, "il tasso di permanenza cresce fino al 50% del 2005-2006 e si porta fino al 56,3% nel periodo 2010-2011".

I giovani restano a casa dei genitori

I giovani restano "figli" sempre più a lungo. Tra i 25 e i 34 anni quattro su dieci vivono ancora nella famiglia d’origine. L'Istat  ha, infatti, sottolineato che i giovani che vivono ancora con i genitori sono il 41,9%, contro il 33,2% degli anni 1993-94. Un fenomeno che per i maschi riguarda il 49,6%, mentre per le femmine la quota è del 34%. "Il 45% dichiara di restare in famiglia perchè non ha un lavoro o non può mantenersi autonomamente - ha poi aggiunto l’istituto di statistica - in vent’anni si è dimezzata la quota di giovani che escono dalla famiglia per sposarsi". I giovani che non lavorano e non studiano hanno superato i 2 milioni e la situazione peggiore è nel Mezzogiorno. Secondo l'Istat la quota è aumentata "a seguito della crisi del 2008-2009" e nel 2011 sono arrivati a 2,1 milioni. La quota è più alta nel Mezzogiorno, 31,9%, un valore quasi doppio di quello del Centro-nord, con punte massime in Sicilia (35,7%) e in Campania (35,2%), seguite da Calabria (31,8%) e Puglia (29,2%).

Se la povertà non cala

La povertà relativa in Italia non è diminuita negli ultimi 15 anni e per le famiglie numerose la situazione è peggiorata. Nel rapporto annuale l'Istat ha spiegato che "negli ultimi 15 anni la povertà relativa ha registrato una sostanziale stabilità. La percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia minima di spesa per consumi si è mantenuta intorno al 10-11%". E il divario territoriale resta ampio: al Nord l’incidenza della povertà è al 4,9%, sale al 23% al Sud. "È peggiorata - ha quindi sottolineato l’istituto di statistica - la condizione delle famiglie più numerose: nel 2010 risulta in condizione di povertà relativa il 29,9% di quelle con cinque e più componenti (più 7 punti percentuali rispetto al 1997). Nelle famiglie con almeno un minore l’incidenza della povertà è del 15,9%".

Nel complesso, si legge nel rapporto dell'istat, sono 1,876 milioni i minori che vivono in famiglie relativamente povere (il 18,2% del totale) e quasi il 70% risiede nel Mezzogiorno.

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