«Occhio, state giocando col fuoco». Il Fondo monetario internazionale mette in guardia Stati Uniti e Cina contro i rischi di un prolungamento del duello commerciale a colpi di dazi. Il tempismo dell'organismo guidato da Christine Lagarde è impeccabile: proprio ieri sono ripresi, a Washington, i negoziati che dovrebbero portare a una bozza d'intesa. È il passaggio intermedio fondamentale prima di arrivare, forse a fine mese, al vertice fra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping nel resort di lusso del tycoon di Mar-a-Lago. Le trattative ripartono col pendolo che oscilla sul lato dell'ottimismo. I mercati vedono infatti più che un bicchiere mezzo pieno, ma potrebbero poi essere costretti a bere un calice amaro se quel 10% di intesa non ancora raggiunto si rivelasse un iceberg capace di affondare ogni possibilità di compromesso. Come rivelato dal Financial Times, «Pechino vuole che Washington rimuova tutti i dazi statunitensi esistenti sulle merci cinesi, mentre gli Stati Uniti vogliono che la Cina accetti i termini di un meccanismo di applicazione che garantisca il rispetto dell'accordo». Larry Kudlow, il consigliere economico di Trump, ha ammesso che non tutte le divergenze sono state risolte, ma il fatto che il Dragone abbia riconosciuto le preoccupazioni americane è simbolo dei «grandi progressi» compiuti.
Difficile dire se ciò sarà sufficiente a evitare un'ulteriore escalation di ritorsioni. Mesi passati senza un nulla di fatto dovrebbero indurre alla prudenza, ma anche aver convinto i protagonisti della necessità di mantenere viva la fiammella negoziale. Anche se dalle trattative nella capitale Usa dovesse arrivare una fumata nera, il FT non esclude l'ipotesi di negoziati prolungati fino al G20 di giugno in Giappone proprio per non invelenire la trade war.
In caso di muro contro muro, lo scenario sarebbe quello disegnato dal Fmi. Da un ipotetico rialzo del 25% dei dazi su tutti i beni scambiati tra Stati Uniti e Cina si avrebbero ricadute gravi sia a livello macroeconomico, ovvero su Pil e scambi commerciali globali, sia a livello microeconomico, con turbolenze settoriali e sulla value-chain. A uscire con le ossa rotte sarebbero però soprattutto Washington e Pechino: gli scambi commerciali tra i due Paesi crollerebbero del 25-30% nel breve termine e tra il 30% e il 70% nel lungo.
Inoltre, il calo della domanda esterna porterebbe a un calo delle esportazioni totali e del Pil delle due potenze economiche: il Pil annuale reale subirebbe perdite tra lo 0,3 e lo 0,6% negli Stati Uniti e tra lo 0,5 e l'1,5% in Cina.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.