Mentre i big europei fuggono dalla Penisola, il mercato punisce i nostri campioni

Fare banca nel 2012 è un percorso a ostacoli. La tenaglia tassi bassi-recessione ha fatto ulteriormente calare nel primo semestre di quest'anno la redditività dei 20 principali istituti europei analizzati da R&S Mediobanca. Gli utili aggregati sono diminuiti del 30,2% su base annua a 26,1 miliardi. Il valore dei primi nove mesi è ancora più preoccupante: la frenata dei profitti è stata del 37,8% a 23,9 miliardi di euro.
Una situazione testimoniata anche dalle Borse. La capitalizzazione di mercato al 27 novembre 2012 evidenziava una contrazione del 21% rispetto a fine 2009. Gli andamenti, ovviamente, non sono stati uniformi: le due italiane, Intesa e Unicredit hanno subito la terza maggior svalutazione (-48%) dopo il Credit Suisse (-53,2%) e il Crédit Agricole (-50,5%). Male anche l'altra francese SocGen (-41,7%), mentre la crisi spagnola non ha comunque terremotato Santander (-37%) e Bbva (-26,8%). Tra le poche che sono riuscite ad aumentare la capitalizzazione, non a caso, c'è la tedesca Deutsche Bank (+1% a 30,8 miliardi). Segnale evidente che, al di là di tutta la retorica europeista (soprattutto con l'approssimarsi della vigilanza unica bancaria), il mercato europeo è «balcanizzato»: dunque i più forti risultano dominanti. Intesa e Unicredit - già in linea con i requisiti di Basilea III (common equity sopra il 9%) - invece appaiono penalizzate dall'avere il loro cuore nei Paesi periferici.
Va anche detto, per onor del vero, che i due campioni del «Bel Paese» scontano anche l'aver assunto il rischio-Italia sotto forma di Btp. L'esposizione degli istituti del Vecchio Continente verso i Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) si è ridotta di 49 miliardi a 276 miliardi. Le grandi banche sono soprattutto fuggite dall'Italia (-22,5 miliardi). Senza Unicredit (+2,3 miliardi) e, soprattutto, senza Intesa Sanpaolo (+16 miliardi a 40,9 miliardi) il fenomeno avrebbe assunto dimensioni destabilizzanti per la capacità del Tesoro e degli altri emittenti italiani di collocare sul mercato la propria offerta. Ca' de Sass, ricorda Mediobanca, ha utilizzato il 39% dei 36 miliardi di liquidità raccolte alle due aste Bce (il dato include anche le attività assicurative). Insomma, senza i due alfieri del «made in Italy» bancario l'Italia sarebbe stata un po' una «Grecia 2»: i titoli ellenici tra cessioni e svalutazioni sono infatti praticamente scomparsi dai portafogli del comparto.
Gli analisti di Piazzetta Cuccia non mancano di sottolineare un triste primato degli istituti di casa nostra. Le banche italiane hanno un'incidenza più elevata dei crediti deteriorati (il 12% rispetto al 5,1% medio europeo).

Unicredit ha la maggior massa di crediti dubbi lordi (77,7 miliardi di euro) e anche Intesa ha uno stock elevato (45,5 miliardi). Come recentemente rilevato dall'Abi, si tratta di un computo influenzato dalle diversità regolamentari nella definizione dei crediti dubbi. Al rigore italico fa da contraltare un sospetto lassismo estero.

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