Non parte sotto i migliori auspici la ristrutturazione del debito della Grecia. Ieri anche l’agenzia statunitense Moody’s, dopo Standard&Poor’s e Fitch, ha declassato il rating della Grecia al livello più basso della sua scala, da Ca a C, ovvero «spazzatura». La decisione è arrivata nella notte tra venerdi e sabato, ed è stata motivata proprio con la necessità di tener conto del lancio del piano di ristrutturazione del debito di Atene. «Un’operazione - ha spiegato Moody’s - che prevede perdite elevate per gli investitori. Inoltre il rischio default resta elevato».
L’operazione comunque deve partire. E l’altro ieri il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha scritto all’Abi e alle altre associazioni rappresentative degli intermediari finanziari per sollecitare ad informare i clienti sulla proposta di «swap» tra i vecchi titoli ellenici, che hanno ormai raggiunto quotazioni ridicole, con rendimenti alle stelle, e quelli di nuova emissione. L’invito formale e tutte le regole per aderire è stato pubblicato dal governo ellenico sul sito Greekbonds.gr già il 24 febbraio scorso.
L'offerta, ha reso noto il governo Papademos, «permetterà agli obbligazionisti di scambiare i bond con nuovi titoli di Stato emessi dalla Grecia». Il taglio al debito in circolazione ammonterà a 107 miliardi di euro su un totale di 206 miliardi. Lo “swap” tra vecchi e nuovi titoli dovrebbe dunque partire l’8 marzo, per concludersi entro l’11, 9 giorni prima del rimborso del mega bond da 14,4 miliardi, in scadenza il 20 marzo.
La Grecia si prospetta dunque, per gli investitori italiani, come una piccola Argentina, ricordando l’infausto default del 2004 del paese Sud Americano. All’epoca, nei portafogli degli investori italiani c’erano 14 miliardi di dollari di bond sudamericani che vennero svalutati, portando la scadenza fino al 2036, di circa il 75%. Qui l’operazione che verrà fatta è più o meno la stessa, anche se per la Grecia non si tratta di un vero default, ma di un «fallimento» pilotato che prevede una perdita di valore «facciale» per i titoli ellenici del 53,5%. In realtà si arriverà anche qui vicini al 75% a causa del protrarsi della scadenza. Ma quanto vale, per l’Italia, il crac di Atene?
Secondo i conteggi che risultano alla Consob, nel totale del risparmio amministrato (quindi detenuto direttamente da investitori privati), ci sono titoli greci per 6,6 miliardi di euro nominali, che al 30 settembre scorso valevano poco più di 3 miliardi. Di questi, nelle mani dei piccoli risparmiatori, (che nel mondo detengono 16 miliardi di sirtaki bond), ci sono 1,2 miliardi, per un «fair value» stimato 532 milioni. C’è poi una piccola parte di risparmio gestito (377 milioni nominali) e nelle gestioni patrimoniali altri 1,5 miliardi. E dunque dei circa 7,8 miliardi che l’Italia aveva investito obbligazioni elleniche in portafoglio restano, a valore «facciale» circa 3 miliardi che scendono a meno di 2 se si guarda a quello che sarà il valore effettivo dopo l’operazione.
Secondo Alessandro Pedone dell’Aduc, associazione dei consumatori che ha vagliato il documento di scambio, per ogni mille euro di bond si riceveranno 315 euro di nuove obbligazioni suddivise in 20 titoli con scadenza a 30 anni con un tasso fisso del 2% destinato a salire lievemente negli anni. Verranno anche date 150 euro di obbligazioni a 2 anni emesse dall’Efsf, ossia dal fondo salva stati, e titoli agganciati alla possibile crescita del Pil greco, come fatto con l’Argentina, ma con possibilità evidentemente molto inferiori.
Molti operatori si chiedono se, in presenza di quella che è la più grande ristrutturazione del debito della storia, pari a 357 miliardi di euro (206 in mano a banche, assicurazioni, fondi di investimento e 151 concessi da Ue, Fmi e Bce) i piccoli risparmiatori, che a differenza degli altri non possono utilizzare sgravi fiscali, non potessero essere esentati.
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