I commissari di Alitalia in queste ore stanno selezionando le 33 manifestazioni d'interesse, ma per riservatezza non comunicheranno né i nomi né il numero di chi avrà accesso ai dati della compagnia. Le fasi successive offerte non vincolanti e offerte vincolanti si svolgeranno nel semestre assistito dal prestito dello Stato. Quindi in ottobre la procedura dovrebbe avere il suo epilogo, e Alitalia un acquirente. A patto che la gara non vada deserta, con un allungamento dei tempi: l'ultima volta, nel 2007, per vendere a Cai servirono due anni.
Non ci si lasci ingannare dall'alto numero di buste presentate il 5 giugno: i soggetti veramente interessati all'acquisto della compagnia, tutta intera (secondo le intenzioni dei commissari) devono essere pochissimi, e nei mesi saranno possibili cordate e aggregazioni. Per ora è tutto fluido. Ma qualche punto va tenuto presente: alcune manifestazioni sono dei diversivi, per esempio quella di Ryanair che vorrebbe, al massimo, una collaborazione industriale; ma soprattutto, non ci sono speranze che Alitalia possa restare a maggioranza italiana, così com'è accaduto nel 2009 e nel 2014. Non ci sono infatti soggetti nazionali con il giusto profilo: né compagnie aeree (un impegno di Meridiana, con il denaro del socio-Qatar, appare fantasioso), né le banche (ampiamente scottate), né soggetti pubblici (vedi Ferrovie) disposti a un'avventura di questo tipo.
Non sarà italiana, ma dovrà essere a maggioranza europea, perché i vincoli normativi non sono cambiati. Chi c'è dunque sul mercato, con spalle sufficientemente larghe e con interessi convergenti? Soltanto Lufthansa e Air France, sole o con alleati extracomunitari; i tanti nomi di compagnie di tutto il globo spesi in questo periodo potrebbero essere della partita solo a fianco di un soggetto europeo. Entrambi i gruppi sono grandi, solidi, forti. Ma hanno profili e soprattutto alleanze diversi. Lufthansa ha l'esperienza di aver inglobato positivamente Swiss, Austrian e Brussels. In Italia è presente con Air Dolomiti, efficiente nell'alimentare gli hub del gruppo. Ma Lufthansa è membra di Star Alliance mentre Alitalia lo è di SkyTeam; uscire sarebbe costoso, e ancor più costoso in penali sarebbe abbandonare l'alleanza transatlantica a quattro che Alitalia condivide con Air France, Klm e l'americana Delta (tutte SkyTeam). Ecco: questo accordo a quattro - da quanto si dice negli ambienti aeronautici - è lo specchio di quello che potrà essere l'assetto della nuova Alitalia. Maggioranza AF-Klm, minoranza Delta. Verrebbero così migliorati gli accordi sull'Atlantico, a beneficio dei conti di Alitalia (nell'interesse comune, a quel punto) e verrebbe rafforzato il lungo raggio grazie a investimenti massicci che gli acquirenti potrebbero permettersi. Il breve e medio resterebbero destinati al feederaggio verso gli hub del gruppo, lasciando il point to point alle low cost, con le quali non si compete.
Tale disegno è naturalmente prematuro, ma da un punto di vista industriale gli esperti sono concordi. Due le incognite: la politica, che quando si è occupata di Alitalia spesso ha fatto danno; e l'offerta economica, che dovrà essere vagliata dai commissari. Ma quanto può valere una compagnia con pochi asset, che continua a bruciare denaro da vent'anni, forte soltanto di accordi bilaterali e di un importante fascio di slot a Linate?
Una data importante è il 26 giugno, quando le autorità Usa decideranno se accordare all'Alitalia la protezione dai creditori
ex Chapter 15; se ciò non dovesse avvenire, sarebbe un colpo devastante. Un ok andrebbe invece a vantaggio anche dei futuri assetti. E Delta farà tutto quanto in suo potere perché l'alleato italiano non venga danneggiato.
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