S&P stanga il Brasile: «Spazzatura»

Debito troppo alto e recessione: cala la scure sul rating, in arrivo tagli e sacrifici. Borse in calo, Milano -1%

Il debito del Brasile è spazzatura. Ad appiccicare il bollino nero dell'infamia finanziaria al Paese sudamericano è Standard&Poor's con la decisione di declassarne il rating a «BB+», primo gradino del livello junk . Spazzatura, appunto. Un'altra tegola pesantissima, e non solo per l'orgoglio nazionale: dopo sette anni, i titoli pubblici perdono il rango di «investment grade », un livello sotto il quale gli investitori istituzionali si tengono alla larga. E all'orizzonte non si profilano miglioramenti. Al contrario, l'outlook negativo segnala che S&P tiene Brasilia nel mirino per ulteriori downgrade. I mercati prendono nota e aggiungono un'altra nota di preoccupazione al lungo elenco dove la Cina campeggia al primo posto: tanto è bastato per far scivolare gli indici europei (-1% Milano, -1,1% Londra e -0,8% Parigi), mentre Wall Street, a un'ora dalla chiusura, guadagnava l'1%.

La bocciatura era da tempo nell'aria («Una tragedia economica annunciata», ha detto sconsolato l'ex presidente della banca centrale locale, Carlos Langoni), in seguito al forte deterioramento dei principali indicatori economici di una nazione impastoiata in una stagflazione che pare un rebus irrisolvibile. La presidente Dilma Rousseff ha convocato ieri una riunione di emergenza, mentre il ministro delle Finanze brasiliano, Joaquim Levy, in passato titolare del Tesoro nel governo Lula, ha annunciato il varo di misure dolorose e impopolari, non escludendo l'aumento delle aliquote fiscali. Sono i numeri della crisi, d'altra parte, a mettere i brasiliani spalle al muro. Incapace ormai di esprimere un avanzo primario, il Brasile ha visto impennarsi il debito pubblico in pochi anni ed esplodere l'inflazione. Nonostante le promesse elettorali della Rousseff e ben 16 rialzi dei tassi in poco più di due anni (ora al 14,25%), la deriva dei prezzi non si è però arrestata: rispetto a un target del 4,5%, l'inflazione galoppa sopra il 9%. Raffreddarla? Una missione quasi impossibile, a causa della forte svalutazione del real (un terzo del valore rispetto al dollaro nell'ultimo anno) che rende sempre più salate le importazioni.

Il crollo dei prezzi delle materie prime e la fuga di capitali, già iniziata peraltro nel 2013 in seguito alle parole con cui l'allora presidente della Fed, Ben Bernanke, annunciava l'intenzione di ridurre gli acquisti di bond, hanno incanalato il Paese sul binario della recessione, divenuta conclamata nel secondo trimestre di quest'anno. Le stime per l'intero 2015 oscillano tra un più ottimistico -1,7% del Pil e un ben più pesante -2,5%. Un buio profondo aggravato da un sistema di welfare ormai insostenibile ma, soprattutto, dagli scandali per corruzione, a cominciare da quello che ha travolto Petrobras coinvolgendo, oltre al Partito dei lavoratori di Dilma, anche gruppi italiani come Saipem e Techint. La sofferenza del Pil deriva anche dai tagli agli appalti decisi dal colosso energetico e dalle inchieste giudiziarie che hanno paralizzato una larga fetta dell'economia.

Vista la situazione, non risultano casuali gli inviti a non alzare i tassi d'interesse rivolti alla Fed dal Fondo

monetario internazionale e dalla Banca Mondiale. Una stretta Usa incentiverebbe infatti il deflusso di capitali dai Paesi emergenti: per un Brasile già a rischio di soffocamento, un cappio mortale stretto intorno al collo.

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