Egemonia di Pannella sui ds senza idee

Egemonia di Pannella sui ds  senza idee

Fabrizio Cicchitto*

Gli errori si pagano. Ancora una volta Marco Pannella e il Partito radicale hanno fatto la scelta del referendum per contestare la legge 40. Si è trattato di una scelta ripetitiva e scontata che perdipiù non teneva conto che, anche per questa sua inflazione d’uso, è da tempo un’arma spuntata. Però il grosso del mondo laico si è lasciato coinvolgere dall’egemonia radicale. L’aspetto più stupefacente è che a buttarsi a capofitto nella battaglia referendaria e, anzi, ad assumerne la cogestione, è stato Fassino. Nel passato, per buone e per cattive ragioni, mai il Pci e poi i suoi eredi si sono fatti egemonizzare da Pannella: hanno tenuto le distanze anche quando Pannella aveva ragione. Evidentemente oggi i post-comunisti sono così fragili culturalmente che prima si sono fatti egemonizzare dalla cultura «radical-chic» di Scalfari, De Benedetti, dell’Espresso e di Repubblica, poi dal giustizialismo di Borrelli, D’Ambrosio, Colombo, Caselli, Di Pietro, adesso da Pannella.
Il fronte referendario ha poi concentrato il suo fuoco polemico su due questioni francamente inaccettabili: si è contestato il diritto della Chiesa di intervenire, si è demonizzato l’astensionismo (dimenticando che il ricorso a questo stratagemma era stato fatto nel passato prima dai radicali e poi dalla sinistra nel referendum sull’art. 18). Cioè si è arrivati al punto che per condurre una battaglia liberale è stato messo in campo un armamentario polemico illiberale e giustizialista. Il massimo dell’autolesionismo. Perdipiù è risultato evidente che in questa fattispecie l’uso del referendum è stato assolutamente improprio perché si trattava di una materia assai complessa, che richiedeva conoscenze, anche lessicali, assai specialistiche e approfondite. In sostanza si trattava di una materia tipica del confronto parlamentare. Bisognava avere un po’ di pazienza, sperimentare la legge e qualora, come riteniamo probabile, fossero emersi alcuni aspetti negativi, riaprire il confronto in Parlamento, visto anche che era stato presentato un disegno di legge firmato da Giuliano Amato.
In tutta la vicenda Berlusconi ha tenuto un comportamento ineccepibile, nel senso che si è guardato bene dall’offrire un pretesto per la sua politicizzazione. A vicenda conclusa, poi, ha osservato che si è trattato della dimostrazione che i moderati sono la maggioranza di questo Paese: si tratta di un’osservazione che Fassino si è andato a cercare con il lanternino con la sua condotta esagitata e straripante, perché alla fine si è «intestato» il referendum. Detto questo, però, non vogliamo neanche trascurare il rovescio della medaglia. Rimaniamo convinti del fatto che almeno due aspetti della legge vanno cambiati in Parlamento: ci riferiamo alla libertà di ricerca scientifica e al divieto di analisi preimpianto dell’embrione. Dopo una fase di sperimentazione della legge se questi rilievi sono confermati dalla realtà va ripreso il confronto. Non prendo neanche in considerazione l’ipotesi di una modifica della legge sull’aborto, che è stata esclusa dallo stesso cardinale Ruini.
Infine un problema politico. Ce n’è uno grande quanto una casa nel centrosinistra dopo il selvaggio attacco rivolto da Arturo Parisi a Rutelli: vedremo se si tratta dei prodromi di una scissione le cui conseguenze potrebbero essere incalcolabili. Ci auguriamo che il problema non venga posto nel centrodestra a proposito del nuovo soggetto politico unitario. Stando alla relazione di Adornato e alle conclusioni di Berlusconi il problema non si pone: entrambi in modo assai esplicito hanno detto che il nuovo partito deve fondarsi sull’incontro fra cattolici e laici (che d’altra parte costituisce il tratto più caratteristico di Forza Italia). Per parte sua Berlusconi ha fatto una esemplificazione assai precisa delle tendenze politiche-culturali che devono essere coinvolte, dalla destra democratica, ai cattolici, ai liberali, ai liberal-socialisti. È sulla modernità, su un progetto di modernizzazione della società italiana che il nuovo partito deve giocare le sue carte.
Poniamo la questione perché nel dibattito c’è chi ha posto il problema di una identificazione fra il nuovo partito e lo schieramento referendario. E come ha ricordato Mannheimer, nel voto referendario sono confluite tendenze molto differenziate. Certamente la Chiesa e il complesso delle organizzazioni cattoliche hanno esercitato una influenza, ma essa si è sommata con il suo opposto (come del resto era in votis): l’astensionismo militante si è sommato con l’astensionismo passivo di una larga area di cittadini che ha rifiutato il tema perché, non essendo direttamente coinvolto, non ha voluto nemmeno approfondirlo, anzi non ha voluto nemmeno prenderlo in considerazione.

Allora non va fatto l’errore di operare una meccanica traduzione fra il risultato del referendum e uno sbocco politico, anzi addirittura uno sbocco ideologico-culturale ed elettorale.
*Vicecoordinatore di Forza Italia

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