Vite a riscatto di Oddone Camerana narra del tormentato affrancamento dalla «ipoteca mentale collettiva» che assoggettava gli appartenenti a tre nuclei familiari strettamente uniti da vincoli di parentela e da forti interessi. Narra del riscatto dai condizionamenti di una educazione - alla quale non necessariamente si addice laggettivo «buona» - volta ad influenzare il carattere, la personalità, per uniformarla alla ideologia della schiatta rappresentata dallinsieme di quelle famiglie.
Vite a riscatto (Lindau, pagg. 268, euro 19) è dunque un romanzo anche se per la forte componente autobiografica che lo domina può ricordare il genere memorialistico. Non a caso lo gnomone che marca i tempi sulla meridiana esistenziale di Alter, il protagonista, è un insieme di ville sul mare dove si intrecciano «legami inestricabili di più nuclei imparentati tra di loro, legami tenuti insieme da una rete protettiva di soldi e di proprietà, nonché da una matassa di abitudini, di ritorni, estate dopo estate». Luogo amatissimo, si direbbe irrinunciabile, ma anche fatale perché vi si celebrano i riti di quel magistero al quale Alter intende sottrarsi. Quando vi riuscirà, sarà proprio la vendita della villa a simboleggiare e a suggellare lavvenuto riscatto.
Vite a riscatto è anche unopera «a chiave»: appena velati da nomi fittizi i personaggi che si muovono sulla scena (e la scena medesima) sono reali. Così come lo è Alter, Oddone Camerana, nipote dellAvvocato. Il talento narrativo e lintimità con la «real casa» consentono a Camerana una serie di fulminanti ritratti dei personaggi e del contesto entro il quale si muovono. Molto attento alle contrazioni nervose e psicologiche dei membri della famiglia, lautore si affida spesso a quelle che possono sembrare, ma non sono, sfumature (come il sorriso di circostanza dell'Avvocato, «immagine plastica, pari a un cartoon, il piacere fatto persona di ascoltare il prossimo» o il «Vuole un whisky?» che la madre dellautore, non intendendo per correttezza congedarlo su due piedi, rivolge ad un ospite. E al «Sì, grazie. Al malto», finalmente laccomiata con un secco: «Non cè»).
Si potrebbe credere che tranne che per quanto rimane - e ne rimane assai - della galassia che intellettualmente, psicologicamente e non necessariamente economicamente orbitava - con forte inclinazione alla mimesi - attorno allastro dellAvvocato, quello delle identificazioni risulterebbe un dettaglio marginale. In fondo, sapere che Robert de Montesquieu fu preso da Proust a modello del suo Mémé de Charlus, non toglie o aggiunge niente al piacere della lettura della Ricerca. Ma nel caso di Vite a riscatto non se ne può prescindere. La famiglia Agnelli non fa da quinta al progressivo liberarsi di Alter dal giogo della ipoteca mentale collettiva: la famiglia Agnelli è il giogo medesimo, «un arcipelago di aderenze costruite sulla capacità dei componenti di radunarsi, di stare insieme, gli uni sugli altri, controllandosi a vicenda», è lartefice e la custode di una prassi che ha finito per alterare i prismi dello strumento col quale si osserva e giudica la realtà.
Alter sa benissimo che quel catechismo con i suoi precetti e modelli da imitare è il mastice che tiene saldamente unita Famiglia e Fabbrica, che ne fa un tuttuno, con le stesse aspirazioni, gli stessi ideali, i medesimi gusti e disgusti.
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