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Altra nave Costa alla deriva: coincidenze, errori o iella? Se il fato batte la tecnologia

Le fiamme e poi l'Sos: la "Allegra" alla deriva nel mare dei pirati. Un singolo evento distrugge anni di successi FOTO Gli interni GUARDA LO SPECIALE

Altra nave Costa alla deriva: coincidenze, errori o iella? Se il fato batte la tecnologia

Una nave tira l’altra.Anche un aeroplano e un treno. Dicevano i latini che repetita iuvant ma non mi sembra che alludessero soltan­to agli incidenti, alle sciagure, alle calamità e affinità varie. Certe coincidenze, a volte, non sono del tutto casuali. Sarà il destino, saran­no i segni delle stelle ma la crona­c­a mette ansia e si trasforma in an­goscia.

Prendete la Costa Crociere. Nel giro di qualche mese ha preso acqua da ogni dove, naturale per chi va per mare ma che, prima un inchino e poi un incen­dio, fuoco nell’oceano, avrebbe­ro affondato l’immagine, e non soltanto, di una compagnia stori­ca che, detto per la memoria e per gli archivi, è da tempo roba americana e non più italiana, al di là dell’insegna.

Cento anni dopo il Titanic, i pa­ragoni sono facili, le paure si moltiplicano, quasi un marchio defi­nitivo, una nuvola nera che inse­gue una azienda fino a ieri gran­diosa e sicura. Dunque i segnali, dunque le premonizioni, il sole che si oscu­ra di colpo, il terrore che prende il posto della gioia. Qualcuno ri­corda la Pan Am? Per oltre ses­sant’anni è stata la compagnia di bandiera più importante e gran­diosa degli Stati Uniti d’Ameri­ca, forse del mondo, quella che aveva inventato il Jumbo, gli ae­rei a reazione, i 747, una flotta co­lossale, con la livrea azzurra e, sulla coda, la bandiera a stelle e strisce.

I favolosi anni incominciaro­n­o a entrare in difficoltà con la cri­si energetica, il costo del petro­lio, dunque del carburante, sbal­lò i bilanci, poi il terrorismo mise il carico da undici, tra dirotta­menti e attentati, i passeggeri, im­pauriti, incominciarono a «tradi­re» Pan Am non ritenendola più sicura, entrò in crisi anche il rap­porto con il governo che non ave­va comunicato l’emergenza e i pericoli, Pan Am era un obiettivo facile per i terroristi, si arrivò, co­sì, al fallimento della compa­gnia, all’inizio degli anni Novan­ta, con il licenziamento di oltre duemila e cinquecento dipen­denti.

Ecco l’effetto domino, Pan Am suggerisce immediatamente il collegamento con il Concorde. Proprio gli ingegneri della com­pagnia americana disegnarono il pannello con gli strumenti dei piloti del supersonico velivolo francoinglese.

La storia del Concorde ha se­gnato un’epoca, l’epoca del so­gno, della fantasia,l’aereo da Ma­ch 2, il passaggio attraverso il mu­ro del suono, il muso che si abbas­sava, le ali da gabbiano, un ricor­do infantile di quando, da bambi­ni, costruivamo con la carta da di­segno o del giornale gli aeroplani­ni che avevano quella forma, la velocità «spaziale» raggiunta, a li­vello commerciale, soltanto dai maestosi Tupolev.

Ventisette anni di voli transo­ceanici, prezzi stratosferici, co­me l’altitudine raggiunta a due­m­ilacentosettantanove chilome­tri di velocità, la sicurezza di esse­re arrivati al top dei viaggi aerei. Poi, come per i 747 della Pan Am, la crisi petrolifera provocò i primi problemi che diventarono drammatici con l’incidente,uni­co ma fatale, quello tragico di Pa­rigi del luglio del Duemila, provo­cato da un corpo di metallo la­sciato cadere da un altro aereo, un DC10 della Continental Airli­nes. Il Concorde decise di chiude­re la sua avventura, l’ultimo volo dall’America a Parigi, fu effettua­to senza passeggeri a bordo, qua­si un viaggio di commiato, solita­rio, silenzioso. Ma proprio la Continental Airlines, quella del DC10, complice e protagonista della tragedia, si è poi fusa, due anni fa, con la United Airlines, la stessa dei due atti di terrorismo dell’undici settembre.

Coincidenza? Può darsi, toc­cando tutti i tipi di amuleti a di­sposizione. Ma queste sono no­te di cronaca, materiale da archi­vio e da statistica. E perché, allo­ra, non citare anche lo Shuttle, il progetto spaziale americano, il viaggio verso la luna e l’univer­so, fermata e segnata dalla trage­dia del Challenger, in diretta televisiva, un decollo verso la mor­te, e la decisione di George Bush di abbandonare il piano e di ri­lanciarlo con il nome di Constel­lation.

Dell’Itavia fini­ta a Ustica, vor­remmo non più dire e scrivere an­che se molto, tut­to si dovrebbe an­cora spiegare e scoprire. Sem­bra, soltanto e purtroppo, un elenco tragico.

Ma è l’album di una serie di circo­stanze che, mes­se assieme, dimo­s­trano che il desti­no può essere se­gnato, prevedibi­le, le tecnologie non servono, non bastano, l’uomo è vittima di se stesso, della propria fragilità e sicurezza, una nave, un aereo, un’automobile, un treno, un semplice respiro. In mezzo al­l’oceano mille passeggeri stan­no pregando che la vacanza fini­sca al più presto.

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