"Golpe in Egitto", azzerata la rivolta araba

I giudici sciolgono le Camere a due giorni dal voto presidenziale. E scatta la protesta delle opposizioni. La Corte costituzionale ammette invece il candidato dell’ex regime

"Golpe in Egitto", azzerata la rivolta araba

Il Cairo - La Corte Costituzionale egiziana ha deciso ieri che il Parlamento a maggioranza islamista sarà dissolto. E che il candidato Ahmed Shafik proseguirà la sua corsa presidenziale. Il voto - per ora - continua: sabato e domenica l’ex premier di Hosni Mubarak sfida al secondo turno delle elezioni presidenziali il candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi.

Quello che è accaduto ieri alla Corte Costituzionale egiziana - davanti alla quale ci sono stati scontri contenuti dopo la sentenza - è già stato definito un «colpo di Stato giudiziario», come ha scritto su Foreign Policy Nathan J. Brown, professore alla George Washington University. Una legge approvata dal Parlamento eletto a dicembre e firmata dai militari al potere che bandiva l’entrata in politica degli ex uomini del regime è stata considerata dai giudici contraria alla Costituzione. È stata dichiarata incostituzionale anche una norma elettorale che permetteva ai candidati dei partiti di correre per i seggi riservati agli indipedenti, invalidando così l'elezione di un terzo del Parlamento e portando alla dissoluzione dell’intera Assemblea. In attesa di nuove elezioni, il potere legislativo dovrebbe passare nelle mani dei militari. Le decisione dei giudici, arrivata a sole 48 ore dal voto presidenziale di sabato, getta nel caos un Paese già polarizzato dalla sfida tra due candidati agli estremi opposti: il comandante dell’Aviazione in pensione ed ex premier Shafik e l’islamista Morsi. Dopo la sentenza, in una conferenza stampa, Shafik ha tenuto un discorso dai toni già presidenziali: «Mi opporrò al caos e riporterò la stabilità», ha detto. L’ex candidato presidenziale Abel Moneim Abul Fotouh e un leader dei Fratelli musulmani hanno parlato di colpo di Stato ma il loro candidato Morsi è stato cauto, dichiarando di rispettare la sentenza della magistratura. Critici anche i gruppi rivoluzionari. Ahmed Maher, uno degli organizzatori del dissenso del 2011 e tra i fondatori del gruppo 6 Aprile, ha parlato di una «provocazione» nei confronti della rivoluzione. La sentenza potrebbe in queste ore innescare nuove proteste.
«È un colpo di Stato soft», ha detto al Giornale Amr Adly, esperto dell’Egyptian Initiative for Personal Rights. A febbraio 2011 è caduto il rais Mubarak, la testa del regime, non il regime stesso, che sopravvive attraverso apparati burocratici, giudiziari e di sicurezza pervasivi e ben funzionanati: «Ora abbiamo un duetto tra militari e magistratura contro il Parlamento e l'Assemblea Costituente».

Soltanto pochi giorni fa, il Parlamento ha formato un comitato di 100 membri per lavorare alla stesura della nuova Costituzione. Al suo interno ci sono quei parlamentari che da oggi non hanno più un seggio. È quindi probabile che la costituente stessa sia smantellata nelle prossime ore. Attraverso una decisione della Corte Suprema, delle istituzioni dell’ex regime, i militari si sono creati uno spazio di manovra per dare forma a loro modo all’era post Mubarak, spiega Adly, secondo il quale la giunta deciderà chi siederà nella costituente e come sarà la nuova Carta fondamentale. Inoltre, mercoledì il governo ha dato alla polizia militare il potere di arrestare civili. «Sembra la Turchia nel 1980 e nel 1982: una piccola élite militare ben rappresentata nella burocrazia, assieme alla Corte Costituziona e alla magistratura, vuole vigilare su uno spazio politico più aperto rispetto al passato, ma ben regolato», dice Adly.

La corte Costituzionale è formata da 21 giudici, nominati da Mubarak: non tutti sono necessariamente pro-regime. Tra loro siedono liberali con un'ideologia fortemente anti-islamica.
twitter: @rollascolari

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