Domenica 4 agosto. Domani. Proprio in coincidenza con il compleanno del presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama, che è del 1961, se la cosa interessa. Un caso? Certo, può essere. Però è strano che un allarme sicurezza di questa portata («minacce credibili e gravi», dice una fonte della Casa Bianca) scatti proprio domani, e che in conseguenza di questo alert con tutte le sirene accese e i fari rotanti, almeno diciannove ambasciate americane in Paese musulmani vengano chiuse e che centinaia di marines si preparino per rafforzare la sicurezza anche delle sedi diplomatiche a Roma e Madrid. Ma poi perché, aggiungendo allarme ad allarme, «sconsigliare» fortemente i turisti americani dall'intraprendere viaggi in Medio Oriente, Nord Africa e Penisola Arabica per tutto il mese di agosto? Che c'è di così drammatico alle viste? E infine: quante volte, finora, sono volate per l'aere minacce di provenienza qaedista rivolte al grande Satana americano e ai suoi lacchè? Vero, molte volte, ammettono con un sorriso stanco i portavoce del Dipartimento di Stato.
Stavolta però c'è qualcosa di diverso. Qualcosa che certo ha a che fare con l'attendibilità della fonte da cui le minacce provengono. Ma questo, da solo, non basterebbe. In ballo, molto più verosimilmente, c'è l'assoluta necessità, anche a costo di esagerare gridando «al lupo», di evitare l'imprevidenza, e il sanguinoso marasma che l'11 settembre 2012, a Bengasi, costò la vita all'ambasciatore Chris Stevens e ad altri tre americani. E dunque un modo di mettere le mani avanti per evitare le accuse di allegra balordaggine che a suo tempo misero in croce il presidente Usa e il suo staff. All'epoca, stando alle documentate accuse della stampa Usa, l'amministrazione Obama cercò di evitare il più possibile ogni riferimento agli allarmi che erano stati lanciati dalla Cia; il che innescò una violenta polemica sulla presunta sottovalutazione degli avvertimenti dei servizi, e sulla successiva, imbarazzata e imbarazzante decisione del governo di truccare le carte sulle comunicazioni fornite all'opinione pubblica.
Le odierne minacce, ha detto un portavoce del Dipartimento alla Cnn, «vengono dal Medio Oriente e da regioni dell'Asia centrale legate ad Al Qaida». Ignoto il target del nemico. Sicchè, per non sbagliare, l'area interessata dall'allarme rosso va dal Bangladesh all'Egitto, al Qatar agli Emirati all'Arabia Saudita all'Algeria. Un'area enorme, di manicomiale vastità, dunque impossibile da controllare. Di qui l'allarme agli americani in viaggio: dateci una mano, non vi esponete a rischi inutili.
L'altra volta, quella dell'attacco a Bengasi, «nessuno ci capì niente», per dirla col Daily Beast che sintetizzò il contenuto delle 100 pagine di mail diffuse dalla Casa Bianca a proposito dei contatti tra l'intelligence e l'amministrazione nei giorni immediatamente seguiti all'attacco. Messaggi interni dai quali si capiva che gli 007 Usa, quattro giorni dopo l'assalto, sapevano molto poco su cosa fosse accaduto, su chi fossero gli aggressori e soprattutto se l'attacco fosse stato pianificato.
Il 14 settembre, due giorni dopo i fatti che costarono la vita all'ambasciatore, ci si domandò, nel corso di una riunione ristretta, se menzionare o meno tra i probabili autori degli attacchi Ansar al Sharia, una milizia jihadista considerata vicina ad Al Qaida, così come suggerito da un primissimo rapporto della Cia. Ma alla fine perfino la Cia, prima ancora che l'amministrazione, decise di omettere questo particolare nelle bozze successive. Insomma: un manicomio che nessuno, a Washington, vuol vedere ripetersi.
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