L'inchiesta sui marò ricomincia da zero con l'antiterrorismo indiano, come se Massimiliano Latorre e Salvatore Girone fossero nipotini di Osama bin Laden, anzi no. I giornali locali scrivono un giorno sì e l'altro pure che i fucilieri rischiano la pena di morte, ma ancora non si capisce bene quale corte speciale li giudicherà. Una gran confusione che allunga solo i tempi dell'agonia giudiziaria in cui il governo Monti ha voluto far ripiombare i marò ordinando il loro rientro a Delhi.
Nella nebbia della Caporetto indiana torna a scrivere sulla sua pagina Facebook l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, che voleva trattenere i fucilieri del San Marco in Italia e si è dimesso per protesta. «Marò: ora dobbiamo andare avanti...!!!» è il titolo dell'impietoso j'accuse alla linea calabraghista del governo. «La sensazione che ho è che, rinviati i due Uomini in India, - si legge nel post di Pasquetta - la questione paia chiusa qui (per qualcuno) nell'attesa che un Tribunale indiano li processi, cosa del tutto impropria dal momento che la giurisdizione del caso *non dev'essere indiana*».
Non solo: In questi giorni Delhi «ha chiesto all'Onu di intervenire per alcuni suoi militari accusati di violenze sessuali in Congo, chiedendo che la giurisdizione sia indiana. Due pesi e due misure? I militari indiani devono essere processati in India... e quelle italiani...in India anch'essi?»
Terzi ricorda l'arbitrato internazionale previsto dall'Unclos, la Convenzione Onu sul diritto del mare. «Era fra le condizioni che avevo posto come *essenziali*, e che invece è stata "accantonata" da chi aveva deciso di occuparsi direttamente del dossier al momento del reinvio in India di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone», scrive l'ambasciatore. Il risultato è fallimentare: «Le notizie che giungono nelle ultime ore dall'India fanno capire che i tempi della giustizia indiana potrebbero addirittura allungarsi».
Il riferimento è al possibile intervento dell'Agenzia di investigazione nazionale (Nia), una specie di Fbi indiana, che secondo la stampa dovrebbe ricominciare da zero le indagini sui marò.
Un'inchiesta che potrebbe portare alla richiesta di pena di morte o al ritorno dei fucilieri in galera in attesa di sentenza.
Ieri il portavoce del governo Syed Akbaruddin ha in parte smentito: «Non c'é nessuna conferma ufficiale sul fatto che alla Nia sia stato chiesto di indagare sull'uccisione dei due pescatori keralesi».
In mattinata il presidente della Corte suprema, Altamas Kabir, aveva «restituito» al nostro ambasciatore in India, Daniele Mancini, la libertà di circolazione proibita quando i marò sembrava restassero in Italia.
Terzi su Facebook chiede che «il Governo italiano renda formale una *fermissima protesta* presso le Nazioni Unite» per lo sfregio all'immunità diplomatica. «Se non lo facessimo - spiega - confermeremmo la netta sensazione data al mondo con la "retromarcia" del 20 marzo - definita da molti "la Caporetto della nostra politica estera"».
Il processo «rapido ed equo» invocato dall'Italia resta una chimera. Ieri la Corte suprema ha invitato ancora una volta l'esecutivo ad istituire un Tribunale speciale e a riferire in proposito nell'udienza fissata per il 16 aprile. Lo stesso avvocato dello Stato, Giacomo Aiello, che difende i marò ammette: «Mi sembra che ci sia un grande dissidio interno tra il governo indiano, la magistratura e il potere legislativo. Non riescono a risolvere il rebus del collegio giudicante e dell'autorità che deve completare l'inchiesta. È una situazione di stallo».
Terzi, ancora intervenendo su Facebook, si chiede: «Se vi è stato un evidente cedimento nel sostenere fondamentali interessi di sovranità nazionale, quale credibilità si potrà avere di qui in avanti in altre situazioni di crisi nel difendere
il "Sistema Paese", le nostre aziende e gli italiani che lavorano e operano all'estero?». E alla fine incita: «Il mio vivo desiderio, e penso della maggior parte degli italiani, è che il Governo si muova *immediatamente*».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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