Le tre pasionarie pacifiste che ora invocano le bombe

L'italiana Boldrini, l'americana Power e l'inglese Cameron, sempre in prima fila per qualunque campagna buonista e appello umanitario, sono tra le più accese sostenitrici della guerra

Le tre pasionarie pacifiste che ora invocano le bombe

Sono le erinni dell'intervento umanitario, le pasionarie della guerra travestita da carità. Donne sempre sull'orlo di una crisi internazionale, femmine e madri pronte a commuoversi per il volto smagrito di un bimbo, ma anche ad invocare piogge di bombe e missili sulla testa di presidenti, dittatori e tiranni. Il prototipo nostrano è una Laura Boldrini pronta prima ad augurarsi la fine del regime di Gheddafi e poi a denunciare «le atrocità commesse dal regime siriano». Un'abitudine mantenuta fino alla vigilia della nomina a presidente della Camera, quando sottoscrive implicitamente l'idea di un intervento in Siria spiegando che «è in corso un disastro umanitario con milioni di persone in fuga, ma il mondo sembra voltarsi da un'altra parte, sordo alla richiesta di porre fine a tanto spargimento di sangue».

A Washington e Londra, dove una Laura non c'è, ci sono in cambio due Samanthe. La prima fa Power di cognome, è una lentigginosa pel di carota irlandese trapiantata in America in procinto d'assumere, grazie alla fiducia riposta in lei dal mentore Obama, la carica di ambasciatore Usa al Palazzo di Vetro. L'altra Samantha pronta ad augurarsi la vittoria dei jihadisti siriani sostenuti da Arabia Saudita e Qatar è Mrs Gwendoline Sheffield, meglio conosciuta come signora Cameron.

Si chiamino Laura o Samantha, facciano il presidente della Camera, l'ambasciatore all'Onu o la first lady a Downing Street poco cambia. Sono tutte prime donne e umanitarie appassionate convinte non solo di possedere la verità assoluta e saper distinguere il giusto dall'ingiusto, ma anche di poter invocare l'uso delle armi per combattere il male assoluto. O quel che a loro appare tale. Il seme di cotanta certezza nasce quasi sempre nel mezzo di un campo profughi o tra le trincee di una guerra raccontata con gli occhi da giornalista impegnata. La rossa Samantha Power, molto prima di ritrovarsi nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Obama e diventare nel marzo 2011 la più convinta sostenitrice della necessità di abbattere Muammar Gheddafi, è una cronista testarda convinta di cambiare le ingiustizie del mondo spiegando gli orrori di Bosnia.

Ma le cronache le piacciono poco. Dalle rovine di Sarajevo Samantha preferisce illustrare perché l'America non muova un dito per fermare il «cattivo» Slobodan Milosevic. Così invece di attendere l'epilogo del Kosovo l'impaziente Samantha s'infila a Harvard, sceglie la carriera del ricercatore intellettuale e da alle stampe «A problem from hell, America and the Age of genocide», un tomo il cui concetto è riassunto in una frase: «Quando vite innocenti vengono consumate su vasta scala e gli Stati Uniti possono impedirlo ad un rischio ragionevole hanno il dovere di farlo». Insomma se le bagatelle di Bengasi son bastate per far fuori Gheddafi, come lasciare al suo posto Assad dopo oltre centomila morti?

In queste dissertazioni dove fatti e geopolitica diventano accessori di emozioni e opinioni Mrs Cameron ha un ruolo di primo piano. Al contrario della Samantha americana non s'è lasciata alle spalle un padre alcolizzato, ma un palazzo nobiliare, una famiglia di sangue blu discendente da re Carlo II d'Inghilterra e un ruolo di primo piano nel gotha glamour della settimana della moda di Londra. Ma da quando ha messo piede a Downing Street la carica di Ambasciatrice di Save the Children nei campi profughi siriani è quella che le da più soddisfazioni.

Tanto da spingere le malelingue ad accusarla di essere la vera eminenza grigia di un coniuge premier che dopo aver sostenuto la necessità di armare una ribellione monopolizzata da fanatici e jihadisti tenta ora di accompagnare Londra all'intervento armato.

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