Twitter svela tangenti e video a luci rosse Erdogan lo fa chiudere

Tra i "cinguettii" documenti e un filmato compromettente che coinvolgerebbe ministri. Il mondo si ribella alla censura

Twitter svela tangenti e video a luci rosse Erdogan lo fa chiudere

Ci mancava solo la voce di un video a luci rosse, con certi suoi ministri di gamba lesta nel ruolo di protagonisti, per far perdere del tutto la trebisonda al premier turco Erdogan, capo dei sepolcri imbiancati del suo partito islamico Akp. Che ci sia davvero, questo filmino hard, non lo sa nessuno. Ma è bastato il sospetto che esista davvero, per accentuare lo sconcerto, la preoccupazione, l'ilarità, infine, che le ultime mosse del sultano Erdogan, alla vigilia di cruciali amministrative, il 30 marzo prossimo, stanno suscitando in un Paese che l'Europa ha lungamente rischiato di imbarcare tra le proprie fila. Prima la chiusura d'imperio di Twitter (usato da 15 milioni di turchi) risoltasi in un boomerang politico di portata planetaria; ora la scomposta reazione di fronte alla prospettiva di uno scandalo a luci rosse -un altro, dopo quello che ha portato a galla il verminaio di corruttela in seno al potere- rischiano di terremotare l'immagine di un personaggio arrivato probabilmente alle sue ultime battute da premier.

A tal punto le voci di un filmino pruriginoso «spaventano» il partito islamico Akp, da indurre la stampa filogovernativa ad attaccarsi preventivamente alle trombe della contro propaganda. Il quotidiano pro-governativo Start, per esempio, spiega che si possono fabbricare maschere al silicone che consentono a un attore di farsi passare per un'altra persona. Un tentativo, secondo l'editorialista di Hurriyet Ahmet Hakan, di preparare l'elettorato Akp alla tesi, se e quando i video dovessero uscire, che le immagini non sono autentiche ma taroccate. Un montaggio insomma. Proprio, secondo Erdogan, come le registrazioni di telefonate intercettate, e pubblicate su Internet, nelle quali il premier parla con il figlio Bilal di come «fare sparire» diversi milioni di euro tenuti in casa, al momento dell'esplosione della tangentopoli sul Bosforo.

Messo con le spalle al muro, Erdogan ha accusato l'ex-alleato, ora arcinemico, Fetulah Gulen, capo della confraternita islamica Hizmet, di «spiare nelle camere da letto». Ma più l'uomo si irrigidisce, chiudendo Twitter e minacciando di fare lo stesso con Facebook e Youtube, più il sarcasmo e il dileggio che salgono dal Paese ne stanno mettendo in luce la debolezza.

Demenziale, a proposito della debolezza di un uomo che si voleva «forte», la sua decisione di chiudere Twitter, che tanta parte aveva avuto l'estate scorsa durante le rivolte di Gezi Parki. Decisione catastrofica non solo sotto il profilo politico, ma anche tecnico, visto che decine tra quotidiani online e siti come Cnnturk hanno immediatamente fornito ai loro utenti il know how per modificare le impostazioni di connessione e aggirare il divieto. Risultato: un'ora e mezzo dopo che il sito di Twitter non era più raggiungibile in Turchia, i tweet mandati in rete dai turchi superavano il milione.

Il principale partito d'opposizione, quello repubblicano, ha annunciato che presenterà un appello in tribunale contro la decisione di bloccare l'accesso al popolare social network, insieme a una denuncia penale contro lo stesso leader islamista per violazione delle libertà personali. Ma più delle carte bollate, è la satira che circola in rete, l'arma più devastante nelle mani dell'opposizione. Perché hanno questo, di tremendo, i social network: che una salve di pernacchie sparate anche da una moltitudine fa talvolta lo stesso effetto di un peto sparato nello spazio. Ma se è amplificata da un cinguettio elettronico, può generare lo stesso macello di un carrarmato della classe Roberts. Così, l'hashtag «TwitterisblockedinTurkey» è diventato in poche ore tra i più seguiti, mentre su Ankara è caduta una pioggia di «bombe» in cui le parole Iran e Corea del Nord erano le più evocate.

La reazione più dura è arrivata dal presidente della Repubblica, Abdullah Gul, che proprio su Twitter ha auspicato una durata breve del divieto e sottolineato che il blocco totale dei social network è inaccettabile.

Indifferente al danno d'immagine e alla riprovazione internazionale suscitata dalla sua decisione «coreana» di oscurare Twitter, Erdogan pare intenzionato a non

mollare e a giocarsi il tutto per tutto. Sicchè la situazione può solo peggiorare, e molti già temono una guerra tra fazioni contrapposte, soprattutto se Erdogan dovesse decidere di candidarsi alla presidenza della Repubblica.

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