Fra Europa e America: suoni per due continenti

Stasera l’orchestra Ottavo Richter sul palco della Villetta per far conoscere al grande pubblico la tradizione di Detroit

Andrea Indini

Dal mito all’avanguardia. Otto concerti, allo Spazio Villetta all’Idroscalo, per raccontare il jazz dalle lontane origini africane alla sua maturità in America, dai canti degli schiavi delle piantagioni fino all’evoluzione contemporanea europea.
Da cosa nasce la rassegna Le città del jazz?
«Si tratta di un ideale percorso geografico - spiega Gaetano Liguori, direttore artistico del festival - che passa attraverso alcune città simbolo della storia del jazz. Qui non siamo al Blue note (non ne abbiamo nemmeno la pretesa): il nostro scopo è diverso. Vogliamo far avvicinare questa città al jazz.»
Anche se siamo solo alla quinta giornata per dirlo, avete avuto ottime recensioni da parte della critica e, sempre, un’alta affluenza di pubblico...
«Più di quanto ci aspettassimo. Questa sera (ore 21.30) tocca all’orchestra Ottavo Richter che avvicinerà il nostro pubblico alla musica di Detroit. Stiamo percorrendo un viaggio per illustrare lo sviluppo di questa forma musicale che, nata a cavallo tra gli anni Dieci e Venti del Novecento, è andata via via acquisendo una complessa specificità, per affermarsi col tempo come il genere musicale che ha caratterizzato tutto il secolo scorso. Siamo partiti da Dakar per rappresentare l'Africa, la grande madre da dove milioni di persone, ridotte in schiavitù e deportate in America, hanno mantenuto come unico legame rimasto con la cultura originaria i canti e i ritmi che li accompagnati nelle grandi piantagioni del nuovo continente. Siamo passati a New Orleans, la fucina dove dall'intreccio di razze e culture nasce, con magica alchimia, il jazz. Giovedì scorso abbiamo celebrato New York, la metropoli dura e frenetica da cui questo tipo di musica si è diffuso nel mondo e trova continui stimoli per il rinnovamento.»
Cosa ci aspetta nelle prossime serate?
«Ci sposteremo in Europa, scegliendo proprio il capoluogo lombardo come meta d’arrivo per raccontare gli sviluppi e i percorsi originali che questa musica ha avuto. Il 28 luglio sarà ospite da New York Jimmy Owens, che indagherà il passaggio dal bebop all’hard-bop, il primo di settembre sarà poi la volta di Laura Fedele che, invece, trasformerà in jazz la canzone d’autore francese.»
Mentre per la serata conclusiva?
«Protagonista principale sarà proprio questa città. Il titolo della serata (8 settembre), Milano una via europea al jazz, spiega già il nostro intento: tutti i concerti della rassegna hanno un forte valore di iniziazione con l’intento di appassionare i milanesi a un tipo di musica che, per troppi anni, è stata discriminata perché considerata elitaria da tante persone.»
Non è così?
«Assolutamente.

Il jazz nasce come musica popolare: tra gli anni Trenta e Quaranta era considerato un genere commerciale, da ballare in qualsiasi sala da ballo. Oggi hanno vestito il jazz di un ruolo che non gli è proprio. Proprio per questo bisogna farlo ascoltare. Il più possibile.»

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