La «faction» monumentale di Larson

«La Città Bianca e il diavolo»: tra cronaca e romanzo un libro sulla Chicago di fine ’800

Come si può definire il libro di Erik Larson La città bianca e il diavolo (Mondadori, pagg. 484, euro 17)? Un saggio? Certamente, dato che si occupa di fatti reali, di episodi storici. Eppure si legge come un romanzo. Un grande romanzo. I primi nomi che vengono alla mente sono quelli di Dominique Lapierre e Larry Collins, indimenticati autori di classici come Parigi brucia?, Gerusalemme, Gerusalemme e Stanotte la libertà: libri capaci di riscrivere la storia con le tinte del romanzo, e che hanno inventato o comunque reso grande un genere, quella che viene definita faction: realtà, storia, cronaca rese più vive attraverso una forma romanzesca. Se dopo il giro di boa della coppia franco-inglese, che ha virato da tempo verso i lidi del romanzo di puro intrattenimento, vi sentite anche voi un po’ orfani, nel libro di Larson vi sentirete di nuovo a casa. La grande faction è tornata. Ed è tornata alla grande, con un libro che non a caso negli Usa è da tempo in testa alle classifiche. Il titolo si spiega in poche parole: la «città bianca» è la World’s Columbian Exposition: il monumentale complesso architettonico che nel 1893, a Chicago, venne allestito in un tempo talmente breve da sembrare impossibile per ospitare la più memorabile esposizione universale della storia americana, nel 400° anno del viaggio di Colombo. Un evento che in soli sei mesi registrò 27 milioni e mezzo di spettatori paganti (la popolazione degli Usa all’epoca era di 65 milioni). Il «diavolo», invece, è il primo serial killer della storia, Henry H. Holmes, che a Chicago assassinò un numero ancora oggi sconosciuto di giovani donne (c’è chi pensa addirittura 200). Nel cuore della Chicago eletta città simbolo del progresso americano, Holmes costruì un prototipo in scala di Auschwitz: con tanto di camera a gas e forno crematorio. Per quelle stanze dell’orrore passarono, per finire in cenere, decine di giovani avvenenti ragazze. Ma fu l’omicidio di tre bambini a mettere sulle sue tracce l’investigatore che lo portò in tribunale, e poi sulla forca. L’oscura ascesa di Holmes a «demone con sembianze umane» viene descritta da Larson a capitoli alternati con la storia dell’artefice della «città bianca»: il geniale architetto Daniel H. Burnham, uomo di talento come Holmes, tanto che le loro vite parallele possono essere lette come due facce della stessa medaglia. La «città nera» e la «città bianca», il serial killer e il progettista del primo grattacielo mai costruito diventano i protagonisti di una storia vertiginosa. Per dare un’idea della bravura di Larson basterebbe la descrizione del macello di Chicago, a pagina 290, dove l’assassino porta due delle sue vittime in un’orrida gita, o quella del più grande palazzo dell’esposizione, dai soffitti alti 75 metri da cui pendevano cinque giganteschi lampadari elettrici da 828.000 candele, di 23 metri di diametro. Fra luce e ombra, progresso e orrore, la frenesia omicida di Holmes e la corsa spasmodica di Burnham per ultimare gli edifici in tempo per l’inaugurazione scandiscono una narrazione sempre più accelerata, sempre più coinvolgente. Quel che resta alla fine della lettura, oltre che ammirazione per l’autore, è il fascino di una società capace di grandi nefandezze come di incredibili imprese.

Dal prologo della storia, ambientato sul ponte di un transatlantico la notte dell’affondamento del Titanic fino all’epilogo che evoca i destini dei protagonisti, il libro non cessa un attimo di stupire il lettore, e di rendergli amici i personaggi della grande borghesia di Chicago che seppero realizzare un autentico miracolo, e che con Larson accompagniamo, nell’ultima pagina, nel luogo che li raccoglie tutti: il cimitero di Graceland, dove ancora oggi «nelle limpide notti d’autunno sembra quasi di sentire il tintinnio dei calici di fine cristallo, il fruscio della seta e l’aroma di sigari pregiati».

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