Febbre da shopping, sempre più malati

La patologia in crescita tra le donne. Ora le Asl pagano le terapie. Bolzano la città più spendacciona

Enza Cusmai

da Milano

Capita. A volte capita. Si viene presi da un impulso irrefrenabile, si entra in un negozio, di abbigliamento per esempio, si compra un vestito costoso e si esce con una grande sensazione di soddisfazione. Di trasgressione, di appagamento.
Capita. A volte. Ma se l’impulso diventa continuo, se la necessità di appagamento diventa pressante, ossessivo, allora acquistare non è più un gioco, diventa una malattia. Da curare da uno specialista, paga l’Asl.
Il fenomeno non è trascurabile. E in crescita. Secondo uno studio della Caritas questa nuova ossessione all’acquisto colpisce dall’1 all'8% della popolazione adulta. Inoltre, il 90% dei consumatori effettua periodicamente acquisti compulsivi. I pazienti da sottoporre a terapia sono affetti da «shopping compulsivo» e guarda caso, sono donne giovani, tra i 35 e i 45, che cadono nella trappola dell’acquisto facile. E rischiano grosso. Litigi familiari, crisi nel lavoro, depressioni. Un spirale perversa. Da curare prima di finire sul lastrico com’è accaduto a un signore che aveva acquistato una quantità spropositata di automobili indebitandosi con molte finanziarie.
Lo psicologo ha una risposta a questa patologia tutta consumistica. «Sono tante le cause, difficoltà affettive, depressione, la necessità di riempire con cose materiali dei propri vuoti personali, ansia e fuga dalle proprie responsabilità» spiega Antonella Ciardo psicologa e psicoterapeuta alla Società italiana di intervento sulle patologie compulsive. «Ne sono affette soprattutto donne, di età compresa tra i 35 e i 45 anni - prosegue la Ciardo - prodotti prediletti i vestiti, ma anche nei ragazzi c'è una predisposizione allo shopping compulsivo soprattutto per l’acquisto di cellulari». Come si cura questa malattia? «Cura farmacologica e soprattutto terapia, individuale e di gruppo, che coinvolge anche partner e familiari». Ovviamente ai malati, che vengono curati per almeno un anno, vengono requisite le carte di credito perché, afferma la Ciardo, «devono recuperare il valore del denaro, che hanno perso con la difficoltà di gestire in propri soldi».
Ma lo spendere non è sempre patologia. Ce lo conferma l’Istat con i dati 2005 dove vengono segnalate le abitudini degli italiani in fatto di consumi. Molto variegati, a macchia di leopardo. Sorprendono le Marche, per esempio, dove ogni famiglia dedica ben 505 euro al mese al cibo seguita - e chi l’avrebbe detto? - dalla Lombardia. Nella classifica seguono quasi tutte le regioni del Sud dove sedersi a tavola rimane ancora un rito. Si accontentano di poco a tavola i friulani e soprattutto gli abitanti di Trento.

Invece, i vicini di casa - quelli di Bolzano - non badano a spese né per il cibo né per ogni altro genere di consumo: ogni famiglia «brucia» mensilmente circa 3000 euro seguita dalla Lombardia con 2800 e dalle altre regioni del Nord. Fanalino di coda è la Sicilia con 1677 euro mensili di spesa complessiva. Un’ultima curiosità. Al Nord si spende di più per casa, trasporti, combustibili e sanità, al Sud prevalgono alimentari e tabacchi.

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