Il futuro sarà un mondo senza sesso

Maurizio Cabona

da Berlino

Noti romanzi francesi talora ispirano meno noti registi tedeschi. Oskar Roehler, l’Ozon tedesco, porta sullo schermo Le particelle elementari di Michel Houllebecq (Bompiani). A far paragoni, Houllebecq è insieme il Martin Walser e il Peter Handke francese, ovvero non conformismo più asocialità. L’atipica coalizione fra Houllebecq e Roehler è maturata nel lungo assedio del regista e del suo produttore, il Bernd Eichinger della Caduta, uno cui evidentemente non piace la vita facile. La differenza fra La caduta (di Berlino nel 1945) e Le particelle, ambientato nel film ancora a Berlino, ma oggi, è che qui non muore quasi nessuno e non succede quasi nulla.
I film sugli stati d’animo imperversano nei Festival e assumono spesso la forma delle disgrazie a catena. Al vasto repertorio sciorinato nei pochi finora visti a questa Berlinale, Le particelle aggiungono un’altro campionario poco rassicurante: una madre sessantottarda (Nina Hoss) più scema e assente che snaturata; due figli (Moritz Bleibtreu e Christian Ulmen) - fratellastri - trasparenti metà opposte l’uno dell’altro; nel romanzo le due donne (Franka Potente e Martina Gedeck), che s’uniscono a loro, muoiono, mentre nel film se ne suicida una (previa paralisi); l’altra abortisce solo. Roehler lascia allo spettatore la speranza, che Houllebecq nega al lettore.
Alla conferenza stampa di ieri, ovviamente Houllebecq non c’era. Ma c’era grande folla di giornalisti tedeschi, contro la decina del giorno prima alla conferenza stampa di Bye Bye Berlusconi, anche quello diretto e prodotto da tedeschi. La ragione è che gli attori delle Particelle sono i divi della Germania. Bravi professionisti, dunque non sono loro a nuocere al film. Il suo problema è il soggetto, non la sua impronta realista. E poi, dopo le donne, gli uomini sull’orlo della crisi di nervi sono inflazionati. Tedesco e gayo, Roehler non ne enfatizza la comicità involontaria, come invece faceva Philippe Harel in Extension du domaine de lutte («Estensione del campo della lotta»), tratto nel 2002 da un altro romanzo di Houllebecq, rendendone la storia cupa leggermente brillante. Quanto ai personaggi femminili, Roehler li fa ancora più incolori o inconsistenti che Houllebecq. Mausoleo d’ogni sessantottismo, la Berlinale ha comunque messo in concorso un film che demolisce quella stagione, accennando però appena alle stravaganze di allora. Le particelle batte infatti sulle conseguenze a carico dei figli di quelle generazioni che volevano la fantasia al potere e hanno finito per mandarci solo i loro coetanei, che ci sono tuttora. Non la fantasia, ma il disinteresse ha prevalso: Houllebecq (1958) è stato abbandonato dalla madre; la madre di Roehler (1959) s’è suicidata. Quale che sia l’identificazione del regista col soggettista, l’ossessione dei due fratellastri che vediamo sullo schermo evoca quella dei due colleghi di Extension: nessuna donna li vuole.
Uno opta per il surrogato pornografico dell’amore (tutto per il sesso); l’altro per la sua sublimazione scientifica (niente attraverso il sesso). Quello che vorrebbe copulare sempre perderà l’oggetto della sua passione; quello che non copula quasi mai perderà il frutto del suo amore. Di qui la frase sullo schermo in ex ergo: «Gli uomini di cui tratteremo qui si riprodurranno asessualmente e i conflitti sessuali spariranno».
L’idea è di Huxley, ma - per strano che sembri - Le particelle somiglia di più a Bianca di Moretti, anche quello una storia di un professore di liceo disorientato dalla sessualità «libera». Il liberalismo sessuale, sostiene infatti Houllebecq fin dall’Extension, polarizza. Oppone chi fa l’amore spesso a chi non lo fa.

I secondi corrispondono all’outsider del racconto di Lovecraft, il romanziere americano su cui Houllebecq scrisse il suo primo libro: l’outsider fugge dalla prigionia, s’aggira in un mondo dove tutti fuggono a loro volta davanti a lui e capisce perché solo vedendosi allo specchio.

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