Trovava il nesso tra una birra belga e il Parsifal di Wagner, partendo dalla morte, che poteva essere istantanea («Morte subite», come la marca della sua birra preferita) o lenta, come quella delleroe wagneriano. E ci tesseva intorno una coreografia, quindi un balletto pieno di forza, capace daccendere la vita nel desiderio o nella pena, o anche nella riflessione. E adesso che Maurice Béjart, il ballerino e coreografo francese sovvertitore del concetto stesso di danza, se nè andato poco prima di compiere gli 81 anni (avrebbe festeggiato il compleanno il 1° gennaio), spegnendosi nella Clinica universitaria di Losanna dovera ricoverato, per la seconda volta in novembre, dovendosi curare reni e cuore, compromessi dallennesimo «coup de fatigue», sarà difficile rinasca un artista totale come lui.
«Detesto il balletto, gli orrendi tutù, la volgarità dei fondali di cartapesta. Non sono un coreografo, ma un uomo di spettacolo totale: amo scegliere i gesti e le parole, curare le scene, le musiche, gli effetti speciali e ogni dettaglio, attingendo a qualsiasi forma darte», diceva di sé, con il controllo di quel «giusto delirare» di cui parla Socrate, quandè rapito dalle Ninfe. Il dominio sulla vita mentale e sui suoi simulacri, del resto, ce laveva nel dna Maurice Jean Berger, vero nome della «leggenda di Marsiglia», figlio del filosofo Gaston Berger e duna donna semplice, ma molto bella, comera lui, atletico Mefistofele dagli occhi indagatori, dun blu fiordaliso in attraente contrasto con i capelli corvini e neri fino allultimo.
Aveva ripreso il nome darte, Béjart, dal patronimico della moglie del commediografo Molière, Armande e già nel nome scelto cera la cosa, ossia il rinnovamento del paludato mondo del balletto, tramite creazioni tragiche o burlesche, comunque sempre applaudite dagli specialisti e dal pubblico. Perché limportanza di questennesima stella del firmamento artistico, spenta nellannus horribilis che ha portato via i registi Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni, sta nellaver messo la danza a portata del largo pubblico.
È lui, Béjart, a farla finita con il codice ottocentesco della danza da corte e con quello «alto» di Diaghilev e di Balanchine, collocandosi, soprattutto negli anni della contestazione giovanile, un passo avanti «a ciò che sta per nascere e ha dentro lavvenire», come diceva. La sua carriera, durata mezzo secolo, ha accompagnato il suo spirito nomadico in mezzo mondo e, non fosse intervenuta la Comare Secca, lultima sua creazione, Tour du monde en 80 minutes lavrebbero vista in molti, in anteprima mondiale, il 20 dicembre, a Losanna, dove risiedeva. Dagli studi di danza allOpéra di Marsiglia, intrapresi da adolescente, anche per irrobustire il fisico gracile, ai perfezionamenti parigini, fino allesordio come coreografo, avvenuto nel 1952 (col film svedese Luccello di fuoco), fece tutta una corsa, Maurice, temuto padre-padrone («i miei danzatori hanno bisogno dun padre, come i figli: per lamore e per la lotta») delle compagnie che fondava e rifondava: il Ballet de lEtoile,il Ballet-Théatre de Maurice Béjart, quindi il noto Ballet du XX siécle, e infine il Bbl di Losanna.
«La mia vita somiglia a quella dun nomade del deserto: sempre pronto a ripartire», spiegava la sua irrequietudine, che lo portava a preferire di star solo. Come Leonardo, suo mito personale al pari di Nietzsche e Artaud, ma, soprattutto, di Richard Wagner, personalità affini, sospese tra Dioniso e Apollo. Niente giri per aria, con Béjart, ma pugilato e mistica, intuito e disciplina ferrea, a raggiungere quella studiata leggerezza che, prima di lui, lamericana Martha Graham, immise sulla scena. Oggi, nessuno si scandalizzerebbe vedendo la sua Sagra della primavera, che nel 1959 fece scalpore, con i riti brutali duna possessione erotica collettiva. «Ballare è una virtù del cervello, prima ancora che delle gambe», ripeteva ai suoi danzatori, che esigeva fluidi, ma possenti. Per la sua preferita, Sylvie Guillem, creò un «pas de deux» con Laurent Hilaire, sempre inseguendo ritmi, emozioni, immagini, che potevano essere giapponesi (Kabuki), iraniane (Golestan), greche (Thàlassa), ebree (Dibbouk). «Io prego attraverso la danza: il mio obiettivo è lunione di razze, culture, linguaggi, idee, arti», ha precisato, quando, negli ultimi tempi, sispirava al cinema (amava Fellini e Pasolini, trovando questultimo «lautore più religioso del secolo»).
Con lItalia ebbe un rapporto felice.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.