(...) Il problema è che cinque volte il nome su dieci righe di comunicato stampa sono un problema, al massimo, di protagonismo mussiano. Ma due volte il nome su due poltrone è un problema di democrazia.
Lo dico io che, al ballottaggio - anche sfidando la rabbia e la contrarietà di tanti nostri lettori, che non hanno mai perdonato al senatore il passaggio dalla lista «Berlusconi presidente» con nomina regia e Imperiale al voto contrario al Berlusconi presidente in Senato - ho appoggiato convintamente Musso, pensando che il suo progetto di sviluppo di Genova fosse migliore di quello di Marco Doria. Ma un conto è appoggiare un candidato sindaco, un altro conto è quello di trovarsi un consigliere comunale in meno.
È verissimo che, in quanto senatore, Musso non prende nemmeno un centesimo dal Comune e che le sue presenze a Tursi sono, per così dire, gratuite. Va detto per onestà intellettuale e, in tempi di antipolitica e demagogia, per qualcuno potrà essere pure un pregio. Il problema, però, è che si tratta di un risparmio che rischia di costare carissimo all'opposizione.
Faccio un esempio. Il giorno in cui si sono votati il regolamento e le aliquote Imu Enrico Musso era a lavorare (duramente) in Senato. Ma se, alla luce del «no» dei dipietristi, il suo voto fosse stato decisivo per approvare un'aliquota più bassa, chi avrebbe pagato quell'assenza? Tutti i cittadini, altro che discutere dei cento euro lordi del gettone di presenza.
Insomma, credo che non sia più tempo di doppi incarichi. L'ho detto e l'ho scritto per Edoardo Rixi, contemporaneamente consigliere comunale e regionale della Lega, e sul punto abbiamo anche ospitato un interessante dibattito sul Giornale, e lo dico a maggior ragione per Musso. Rixi ha dimostrato di conoscere la nobiltà della parola «dimissioni», lasciando il posto da parlamentare nominato da Bossi a Roma per conquistarsi quello da consigliere regionale eletto con le preferenze a Genova. Un caso più unico che raro.
Enrico, invece, persevera nella sua ostinazione. Eppure, le mancate dimissioni da consigliere comunale (o da senatore, ma è più difficile), gli sono costate parecchio anche nella campagna elettorale. In moltissimi, che pure si sarebbero lasciati convincere dalle sue idee, dalla sua preparazione e dalla sua oratoria, sono trasecolati di fronte alla percentuale irrisoria di presenze in consiglio comunale, che ne faceva il più assenteista di tutti. E così, fra l'altro, aveva impedito l'ingresso a Tursi a una persona seria, perbene e responsabile come Gian Luca Fois, che pure l'aveva molto appoggiato in campagna elettorale. Mi si vuole spiegare dov'è stato il guadagno di tutta questa operazione?
Mica finita. Stiamo vivendo il bis. A differenza di Pierluigi Vinai che, correttamente e seriamente, si è reso conto che non avrebbe potuto conciliare l'incarico di consigliere comunale di opposizione con il suo lavoro ed ha lasciato il posto a chi poteva esserci davvero, Guido Grillo, Musso continua a rimanere a Palazzo Tursi. Dove per «rimanere» si deve intendere un verbo assolutamente metaforico visto che, dopo le primissime sedute, le apparizioni di Enrico in sala rossa sono più rare di quelle della madonnina di Civitavecchia.
Ribadisco: posso anche capirlo. Una volta che, sbagliando, non ha abbandonato il posto a Palazzo Madama - dove pure gli sarebbe subentrato Gino Morgillo, consigliere regionale che ha il vizio di ragionare e di documentarsi sulle norme di cui si occupa - Musso giustamente è spesso in Senato. Ma la presenza in Senato è spesso incompatibile con quella a Palazzo Tursi. E allora perchè ostinarsi a rimanere anche in Comune?
Anche in questo caso, fra l'altro, non entrerebbe un odiato esponente dell'Udc monteleoniano, con cui Musso ha ormai rotto ogni rapporto dopo la spaccatura del gruppo il primo giorno del nuovo mandato amministrativo, ma Emanuele Basso, ex capogruppo di Altra Genova nella scorsa legislatura, liberale storico e mussiano doc da sempre. E allora? Cos'ha che non piace a Musso? La montatura degli occhiali? È sampdoriano? Lo preferiva con la barba? Vuole che faccia la dieta? Insomma, qual è il motivo per cui Basso, primo dei non eletti, che sarebbe sempre presente in aula, non può prendere il posto di Musso, primo degli eletti, che non è quasi mai presente in aula?
Lo dico forte e chiaro io che, nonostante tutti gli scontri che abbiamo avuto, di Musso sono amico, molto più di alcuni che si professano tali. Siamo alle solite, al blocco che ha impedito all'ottimo Fois di entrare la scorsa volta. E il paradosso si è registrato nello scorso consiglio comunale, quello di martedì 17, quando la mozione iscritta al secondo punto dell'ordine del giorno, la «00020/2012 presentata dai consiglieri Musso Enrico, Musso Vittoria e Salemi Pietro, in merito a individuazione giornata per lo svolgimento del Consiglio Comunale» è stata bocciata.
In pratica, come nello scorso mandato, Musso chiedeva che il consiglio si svolgesse di lunedì, anzichè di martedì, in modo da poter armonizzare la sua presenza con i lavori dell'aula del Senato. Ma, così come nel quinquennio precedente, l'aula ha bocciato in modo plebiscitario la proposta. Da un lato per motivi pratici, visto che significherebbe avere a disposizione personale nel fine settimana per preparare le sedute, con costi maggiori (almeno così ha spiegato il presidente del consiglio comunale Giorgio Guerello, persona seria e corretta).
Immagine definitiva e fotogramma finale sulla scelta sbagliata di tenere due poltrone.
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