Il ministero degli Esteri della Germania Occidentale finanziò in segreto per otto anni, dal 1969 al 1976, gli altoatesini di lingua tedesca. Un fiume di denaro che il settimanale Der Spiegel, che pubblica la clamorosa rivelazione sul suo ultimo numero, stima nell’equivalente di 10 milioni di euro di oggi. Quei soldi arrivarono sottobanco, scrive il settimanale tedesco citando documenti del ministero degli Esteri resi pubblici solo di recente, in provincia di Bolzano per sostenere una Volkstumspolitik («politica di identità di un popolo»): in pratica la separazione etnica tra germanofoni e italiani. Sarebbero stati impiegati con finalità culturali, per formare insegnanti di lingua tedesca e finanziare borse di studio. Ma va ricordato (e Der Spiegel lo fa) che quelli erano ancora gli anni dei Bumser, i bombaroli sudtirolesi che a partire dal 1957 avevano fatto ricorso a metodi terroristici nel tentativo di staccare l’Alto Adige dall’Italia per annetterlo all’Austria.
Clamoroso e certamente imbarazzante per la Germania è il fatto che il governo di Bonn ingannò consapevolmente quello di Roma, suo alleato nella Nato e nell’allora Comunità Europea. Secondo lo Spiegel ciò avvenne anche prima del 1969: allora sarebbero state inviate a Bolzano «somme di importo sconosciuto» dal ministero delle Questioni Intertedesche. Ma dopo quell’anno fu il ministero degli Esteri di Bonn a far pervenire ai separatisti dell’Alto Adige cospicui finanziamenti «in maniera strettamente confidenziale, aggirando le abituali procedure legali di bilancio».
Che l’obiettivo fosse il sostegno al separatismo etnico risulta con evidenza da un passaggio di un documento del ministero degli Esteri tedesco-occidentale, dove si chiariva che il denaro serviva «a portare avanti la Volkstumspolitik con mezzi in un certo senso cospirativi». A Bonn non tutti erano d’accordo su tali metodi. Un documento del 1973 testimonia di questi contrasti: alcuni diplomatici chiedono di ricondurre alla legalità i finanziamenti occulti a Bolzano, inserendoli in normali programmi per la politica culturale all’estero. Ma la motivazione non è nobilissima: «Non ci si può permettere di essere scoperti».
La vicenda emerge in effetti solo oggi, e con essa riaffiorano i nomi di quanti, nel mondo politico dell’allora Germania Occidentale, più si impegnarono per la causa dei «fratelli» sudtirolesi. Il più esposto era il ministro dell’Interno della Baviera Hermann Höcherl, che nel 1963 si disse pronto a offrire asilo politico a uno dei capi dei Bumser, se questi ne avesse fatto richiesta: non si dava troppe preoccupazioni del fatto che quei personaggi non si erano «limitati» a compiere centinaia di attentati anti-italiani contro tralicci dell’alta tensione e monumenti «fascisti», ma avevano anche ucciso più di venti persone, soprattutto soldati e poliziotti. Tra i sostenitori più convinti dell’irredentismo sudtirolese c’era anche un ministro liberale a Bonn nei governi a guida socialdemocratica di Willy Brandt e Helmut Schmidt, quello Josef Ertl che guidava l’ala destra della Fdp, nonché in generale la Csu, il partito cristiano-democratico bavarese.
Il clima pesantissimo creato dai bombaroli aveva spinto nel 1961 il governo italiano a inviare nella provincia di Bolzano oltre ventimila soldati e carabinieri e a seguire con attenzione le mosse di certi politici tedeschi. Ecco allora che Ertl, quando venne «in vacanza» in Alto Adige, si trovò pedinato (ma Der Spiegel va oltre e scrive schikaniert, «molestato») e che ad alcuni esponenti della Csu venne senz’altro impedito di passare la frontiera. Ma questo è il passato.
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