Gian Micalessin
Forse non ha rivelato nessun segreto. Di certo ha ammesso lesistenza di un piano. Quel piano gli fu commissionato quando Ariel Sharon guidava la nazione e lui ricopriva lincarico di capo di stato maggiore. Moshe Yaalon rinunciò ai suoi gradi alla vigilia di un disimpegno da Gaza che lui non approvava.
Ora Yaalon torna a dividere il Paese, a imbarazzare il governo e a far infuriare il premier Ehud Olmert. Lo fa annunciando a una platea americana che Israele è in grado di colpire lIran e di ritardarne il programma nucleare. Ma lo fa enunciando dettagli e particolari che solo chi conosce piani specifici può rivelare. Per colpire i siti iraniani, spiega Yaalon, saranno necessarie diverse operazioni, non tutte saranno condotte dallaviazione e comunque le installazioni nucleari iraniane non verranno completamente neutralizzate. Quei raid, secondo lex capo di stato maggiore, contribuiranno però a rimandare di qualche anno lo sviluppo di unarma atomica iraniana consentendo, nel frattempo, un possibile cambio di regime.
Quando, allalba di ieri, i capi militari e politici dIsraele leggono le rivelazioni di Yaalon, scoppia il finimondo. «Non possiamo in nessun modo accettare la possibilità di unatomica in mani iraniane, ma dobbiamo lavorare duro e parlare meno», dichiara con stizza il premier Olmert costretto, in piena campagna elettorale, ad affrontare un tema che mette a repentaglio la politica strategica dIsraele e la sua reputazione di leader affidabile e deciso. «Il nostro obbiettivo spiega, sperando di non sembrare troppo remissivo agli occhi dei suoi elettori - è lasciare che sia la comunità internazionale a fermare gli iraniani».
I piani a cui accenna lex capo di stato maggiore sono insomma solo lultima risorsa, fa capire il premier in carica, lestremo rimedio in caso di fallimento della diplomazia internazionale. Nondimeno le parole di Yaalon fanno capire che quei piani sono già nelle mani dei vertici militari. Le prime indiscrezioni sugli schemi dattacco dello stato maggiore dIsraele per colpire i 300 siti in cui sarebbero disseminate le installazioni nucleari iraniane risalgono al 2004. In quel periodo il Mossad fissa la fine marzo di questanno come termine ultimo per fermare i progetti di Teheran. Quei calcoli si basavano sulla possibilità per le difese iraniane di sfruttare le immagini trasmesse da Sinah1, il primo satellite iraniano messo in orbita nellottobre dello scorso anno. Sharon, a quel punto, mobilitò i vertici militari e i comandi delle forze speciali coinvolte nelloperazione dichiararono il massimo livello dallerta. La base segreta nel Kurdistan iracheno, dove gli israeliani possono contare sullantica alleanza con i curdi di Jalal Talebani, entrò in piena attività infiltrando decine di commandos incaricati dindividuare le eventuali installazioni nucleari sfuggite alle ispezioni dellAgenzia internazionale per lenergia atomica. Le unità formate da ebrei di origine iraniana con perfetta conoscenza della lingua e del territorio batterono a palmo a palmo tutto il Paese tracciando una mappa dettagliata degli obbiettivi.
Quando la mappa arrivò ai comandi dellUnità 262, gli incursori, equivalenti alle Sas inglesi, e dello squadrone 69, la pattuglia specializzata nei bombardamenti a lungo raggio, gli ufficiali si misero le mani nei capelli. Il numero degli obbiettivi e la loro dislocazione nella vicinanza di centri abitati rendeva impossibile una singola operazione aerea. Per colpire contemporaneamente tutte le installazioni era indispensabile pianificare un operazione ad altissimo rischio composta da serie di attacchi di terra coordinati con le incursioni aere. «Se optiamo per la scelta militare dichiarò un ufficiale dovremo garantirci una capacità di successo del 100%, come nel giugno 67 distruggemmo al suolo lintera aviazione egiziana». Ma a differenza di allora gli israeliani dovranno fare i conti con gli insidiosi missili Tor M1, il sistema di difesa antiaereo acquistato dalla Russia dopo la firma di un contratto da un miliardo di dollari. «Quei missili - ammettono fonti israeliane - potrebbero renderci la vita estremamente difficile».
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