Il giallo della Croce rossa

C’è da augurarsi che i diari di Benito Mussolini scoperti da Marcello Dell’Utri siano veri, ma il condizionale è indispensabile finché i cinque volumi autografi non verranno sottoposti a severissime analisi calligrafiche e storiografiche, nonché a perizie sulla età della carta e dell’inchiostro. Fino a allora né la serietà di bibliofilo del senatore di Forza Italia né l’entusiastico riconoscimento di Alessandra Mussolini basteranno a rendere credibili quei documenti. A far sperare che sia la volta buona, dopo tanti falsi, c’è il particolare che partano dal 1935 e che siano vergati su agende della Croce rossa italiana: fu proprio in quell’anno, infatti, che Mussolini suggerì al genero Galeazzo Ciano di tenere un diario «come faccio io». E Ciano tenne un diario dall’anno successivo, quando diventò ministro degli Esteri, su agende della Croce rossa: ho potuto esaminare gli originali, e un confronto fra i due diari (cartaceo, non solo di fatti) sarà fondamentale per stabilire l’autenticità di quelli del Duce. E - ripeto - speriamo che quei diari siano veri perché costituirebbero un documento di importanza eccezionale per la comprensione del fascismo, del suo capo e delle vicende italiane che portarono alla Seconda guerra mondiale.
Naturalmente, però, i diari - da chiunque siano scritti - rappresentano sempre e soltanto un documento di parte, mai obiettivo né del tutto esaustivo: lo stesso autore, scrivendoli, tende a piegare i fatti al proprio punto di vista e alla propria convenienza. Tanto più quando sono scritti da chi fa la storia e della storia vuole lasciare ai posteri la propria versione.
In attesa degli inevitabili esami, accontentiamoci dunque di qualche riflessione sul perché tante vicende che riguardano il Duce - i diari, l’«oro di Dongo», il carteggio con Winston Churchill, la morte - suscitino ancora tanto interesse. La prima risposta è ovvia. Mussolini fu per trent’anni al centro della vita politica italiana, e per venti ha dominato, guidato, condizionato il Paese. La sua soppressione improvvisa e senza un processo, senza una sua testimonianza diretta, orale o scritta, per giustificarsi e difendersi, costituisce un vuoto prima di tutto storiografico e politico.
Il primo mistero ancora irrisolto è come, quando e da chi fu ucciso il dittatore caduto. Solo sul motivo di quella morte senza processo non ci sono dubbi: non si voleva che ci fosse un processo per impedire a Mussolini di difendersi, dire le sue verità, e eventualmente elencare le responsabilità dei vincitori nella guerra. Il risultato è stato ottenuto, forse anche con la scomparsa dei documenti che il Duce portava con sé, e oggi l’unica cosa certa sulla sua morte è che la versione accreditata ufficialmente dai comandi partigiani non è vera né credibile.
Da quel primo mistero derivano tutti gli altri, che si sono ingigantiti con gli anni per l’impossibilità di documentarli. Prima di tutto il fantomatico «oro di Dongo», ovvero il tesoro che Mussolini avrebbe avuto con sé nella fuga e che non è mai stato ritrovato. Ammesso che esistesse, l’ipotesi più probabile è che sia finito nelle casse del Partito Comunista Italiano, visto che furono soprattutto partigiani comunisti a catturare il dittatore in fuga e a controllarne le ultime ore di vita. Se è così, difficilmente la verità verrà mai a galla, né tantomeno c’è speranza di recuperare il «tesoro».
L’altro mistero è quello del carteggio con Churchill, al quale accennò lo stesso Mussolini, facendo intendere che era stato il premier inglese a chiedergli di entrare in guerra per non avere di fronte, al tavolo della pace, soltanto Hitler. È una teoria piuttosto fumosa, per la verità, ma se quelle lettere esistevano, dovevano trovarsi insieme ai diari.

E comunque c’è una ragionevole speranza che - passato un lungo periodo di tempo - una copia della eventuale corrispondenza salti fuori dagli archivi inglesi, quando le passioni e gli interessi ancora accesi dalla Seconda guerra mondiale saranno sopiti.
Per ora resta solo da sperare che Marcello Dell’Utri e Alessandra Mussolini abbiano ragione.
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