Ma il governo di Lula riconsegna a Fidel Castro due dissidenti cubani

Dois pesos e dois medidas. «Due pesi e due misure». Questa è la contestazione che la stampa e l’opinione pubblica brasiliana rivolgono al ministro della Giustizia, Tarso Genro, del quale si mette in discussione la linearità della condotta politica. La questione è tanto semplice quanto imbarazzante: se il Brasile ha concesso lo status di rifugiato politico al terrorista pluriomicida Cesare Battisti, ricercato dalle autorità italiane, perché non si è adottato lo stesso metro di valutazione con i cubani Guillermo Rigondeaux e Erislandy Lara?
L’antefatto risale al luglio 2007. Due pugili cubani, i pluricampioni Lara e Rigondeaux appunto, abbandonarono il ritiro della propria nazionale durante i Giochi panamericani di Rio de Janeiro allettati dalle proposte di un procuratore tedesco di origini turche, Ahmet Öner, che voleva aggiungere due «cavalli di razza» alla propria scuderia. La fuga rappresentò un durissimo colpo per il declinante regime castrista che utilizza le vittorie sportive per arginare la perdita di consenso. Ma il destino giocò a sfavore dei due boxeur, arrestati dopo una decina di giorni dalla polizia federale sulla spiaggia di Araruama. In quel preciso momento giunse l’inatteso colpo di scena. Troppo facile e scontata la concessione dell’asilo politico ai due disertori cubani, che invece vennero estradati a L’Avana con la «benedizione» di Tarso Genro.
«L’atleta che abbandona la propria delegazione è come il soldato che abbandona i propri compagni in battaglia», scrisse il Comandante Castro in merito all’epilogo della vicenda. In pratica, la sentenza di condanna per i due disertori che a Cuba non hanno più potuto salire sul ring nonostante Rigondeaux avesse vinto due ori olimpici nel 2000 e nel 2004. Di qui le proteste dei senatori dell’opposizione a Brasilia e di Human Rights Watch, associazione per la difesa dei diritti umani, i quali chiesero spiegazioni al ministro Genro nonché l’invio di una delegazione a Cuba per verificare il rispetto della legalità nei confronti dei due fuggiaschi.
Dinanzi alla commissione Esteri del Senato, Tarso Genro «scaricò» le responsabilità sulla polizia come se il governo non avesse avuto voce in capitolo. «Si tratta di un episodio circoscritto a un’azione di polizia amministrativa, rigorosamente rispettosa della legge», dichiarò aggiungendo che a Rigondeaux e Lara fu chiesto se avessero voluto avvalersi del diritto di asilo nonostante il caso riguardasse due stranieri con il permesso di soggiorno scaduto. Una versione coincidente con l’autodafé di Rigondeaux che a L’Avana aveva fatto pubblica ammenda del proprio comportamento disdicevole. Come la «rieducazione dei nemici del popolo» di sovietica memoria prevede.
La storia è questa. Anche se sarebbe lecito domandarsi cosa sarebbe successo ai due pugili se Fidel Castro non avesse accusato il Brasile e Lula di comportarsi come gli «squali mafiosi» degli Stati Uniti. E soprattutto c’è da domandarsi perché pochi mesi dopo il Paese sudamericano abbia concesso lo status di rifugiato a tre atleti cubani, allontanatisi dal ritiro della nazionale sempre in quei giorni.

I due boxeur forse sono stati solo sfortunati, ma Lara ha comunque ritrovato la libertà. Nel 2008 è riuscito a fuggire in Messico e di lì è partito alla volta della Germania coronando il proprio sogno: diventare pugile professionista.

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