Come il Grifone degli anni ’50...

(...) Delfino; Frizzi, Pestrin, Corso, Gren, Carapellese. E a Marassi, soprattutto in onore e a disdoro delle «grandi», era calcio champagne. Fate conto che il mitico «Becca» fosse un Criscito più piccolo, meno elegante, più acrobatico e più faccia tosta, però molto più avanti negli anni; che il «professor» Gren fosse un Milanetto al quadrato, ma agli sgoccioli; che l'imprendibile «Carappa» fosse un Gasbarroni al cubo, ma al tramonto. Non occorre granché per comprendere il motivo di quel rendimento alternante. Inoltre, Corso non era il grande Mariolino ma semplicemente Antonio. In più, il centravanti designato in partenza rispondeva al nome di «Marinho» Di Pietro, un brasiliano pallido e allampanato dalle ginocchia di burro che si ritagliò un unico pomeriggio di gloria, domenica 23 ottobre 1955, due gol nel derby toccando in pratica quei due unici palloni. Tanto bastò ai tifosi del Genoa per farne un beffardo mito alla Don Chisciotte, ma per mister Magli fu giocoforza arrangiarsi appunto col giovane Corso.
Ora, là davanti, invece di un Corso che fece 6 gol in 34 partite, mister Gasperini schiera l'argentino Diego Alberto Milito, uno dei migliori centravanti del mondo, nel suo momento di maggior fulgore. E soltanto ciò dovrebbe bastare, e avanzare, per assicurare un percorso di squadra molto meno ondivago di quello dei pestiferi «vecchietti» anni Cinquanta che risultarono alla fine decimi su 18 componenti il campionato di serie A. Come spiegare allora i tremori, sfioranti l'ignavia, di Catania e Palermo? Non si spiegano. Sicché Gasperini, cui il coraggio non manca (dentro Palladino e Olivera per Gasbarroni e Sculli sull'1-1 contro la Roma ancora forte di De Rossi) e la prudenza nemmeno (finalmente ci si difende «a 5», anzi «a 8»), può e deve venirne a capo in fretta. È troppo chiedere che accada già a Firenze?
Certo che vedi giocare Milito e pensi che alla Sampdoria sarebbe bastato molto meno: diciamo «il vecchio» Amoruso. E davvero è un peccato che Garrone e Marotta, fatto 30 assicurandosi il genio di Cassano e riequilibrando l'organico ad onta della dolorosa cessione di Maggio, non abbiano trovato il coraggio di fare 31. Manca un attaccante qual era Bellucci; quali erano il Bazzani e il Bonazzoli di qualche anno fa; quale che fosse. Il 5-0 di Coppa Uefa a spese del Kaunas ha fatto sensazione, ma è finita lì, nel sogno di una notte di fine estate. Il pericolo è che alla lunga si sgonfi Cassano.
Dice: sta per tornare Bellucci, l'ideale compagno di merende per Cassano. Sta per tornare sì, ma in quali condizioni? L'intervento al tendine d'Achille non è insidioso come quello al crociato, e la grinta e il coraggio di Claudio, uno dei più seri professionisti tra le migliaia che ho conosciuto nel calcio, sono una garanzia supplementare. Ma so per esperienza che affinché l'atleta ridiventi ciò che era prima di questo specifico infortunio occorre molto tempo: perché il polpaccio si è fatalmente rimpicciolito; perché il tendine va pazientemente rielasticizzato; perché la scontata zoppia iniziale, più o meno palese, mette a rischio i muscoli dell'altra gamba.

Io faccio il tifo perché Bellucci bruci tempi che decine d'altri non riuscirono a bruciare; lo faccio perché lo merita Claudio, lo merita Cassano, lo merita Mazzarri, lo merita la Sampdoria. Ma la mano sul fuoco non ce la metto. Nel frattempo la compatta e tosta Samp di Mazzarri ha segnato solo 2 gol in 4 partite. E il campionato e la Coppa Uefa incalzano a ritmo di battaglia.

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