Dopo lincidente allimpianto nucleare di smaltimento nei pressi di Avignone, a pochi chilometri dal confine e gli articoli del Giornale sul tema, anche in Liguria è tornato il dibattito sullopportunità di investire in questa fonte energetica. Sullargomento ospitiamo lintervento dellingegnere Sabino Gallo.
Una «potenza industriale» che voglia consolidare e mantenere tale posizione, fra le altre che con essa competono, dovrà necessariamente soddisfare due condizioni fondamentali ed introduce sul mercato, b) dotarsi dei mezzi necessari per assicurarsi una sufficiente e stabile indipendenza energetica, almeno nella produzione di elettricità.
Un tale modello di società non si adatta a convenienze politiche temporanee dettate da radicali opposizioni ideologiche o a programmi di sviluppo fondati su ipotesi improbabili, ma impone scelte rigorose, in giusta misura condivise e non modificabili, per evitare gli errori cumulati di tutti i compromessi possibili, che minano la sua credibilità e la sua posizione nella Comunità internazionale. A questo proposito è opportuno notare che sono numerosi i Paesi nei quali le alternanze politiche dei loro Governi non modificano la necessaria continuità dei grandi progetti nazionali. Purtroppo il nostro non è uno dei migliori esempi.
La tecnologia è, senza dubbio, la materia prima rinnovabile per eccellenza ed è l'unica di cui possono disporre le potenze industriali per ristabilire l'equilibrio con i Paesi meno industrializzati, ma ricchi di materie prime naturali, di cui esse sono carenti. Ed è egualmente evidente che questa condizione di equilibrio sarà tanto più sicura e duratura quanto più singolare ed indispensabile sarà la tecnologia che potranno offrire e quanto più alto sarà il livello di quella indipendenza energetica, comunque necessaria, che esse saranno capaci di acquisire, proprio facendo ricorso alle loro risorse tecnologiche.
È generalmente riconosciuto, anche se ancora molti timori e pregiudizi ne frenano l'adozione o lo sviluppo in alcuni paesi, che quella nucleare è la tecnologia che meglio riassume e realizza queste due possibilità, contribuendo ad economizzare in maniera determinante le risorse fossili, altrimenti in via di rapido esaurimento, e ad attenuare le inevitabili e pericolose tensioni internazionali generate dal bisogno crescente degli Stati di accaparrarsele. D'altra parte può contare ancora su grandi programmi di ricerca per assicurare un futuro illimitato non solo alla industria elettronucleare, ma anche a molti altri importanti settori di attività che nella ricerca nucleare hanno trovato la loro origine: medicina nucleare (diagnostica e terapeutica), processi di radio-sterilizzazione e di igienizzazione, ecc.
Lo sviluppo del nucleare civile, in particolare per la produzione di elettricità, si giustifica facilmente con tutti gli enormi vantaggi che offre all'umanità : fonte praticamente inesauribile di energia, costi di produzione sempre più bassi e molto più stabili delle fonti fossili in via di esaurimento, continuità intrinseca di alta produzione, nessuna emissione di gas ad effetto serra, sicurezza di funzionamento degli impianti molto più elevata di quella che caratterizza altre tecnologie di cui l'umanità non può privarsi.
Il controllo costante della sicurezza degli impianti nucleari è affidato dallo Stato di ciascun paese - e sotto la sua responsabilità - ad Agenzie Nazionali indipendenti, che devono mantenere i loro rapporti con l'AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica dell'ONU). Tuttavia, dopo l'incidente di Fukushima, l'AIEA prevede di implementare la sua funzione ispettiva, sia per verificare che le dette Agenzie siano del tutto indipendenti sia per assicurarsi che le norme nazionali rispettino rigorosamente le regole internazionali.
Quando si parla di «nucleare civile» ci si riferisce, di solito, al parco di «centrali nucleari» in funzione in un Paese e non a tutte le altre componenti del sistema industriale che mantiene in vita le centrali e che da esse è alimentato. Un «sistema nucleare» è completo se assicura tutte le operazioni del «ciclo del combustibile nucleare», partendo dall'uranio naturale, di cui è sempre molto utile ricordare almeno qualche caratteristica, per gli scopi di questa argomentazione.
L'uranio naturale è abbastanza diffuso in natura, ma in concentrazioni piuttosto modeste che vanno da 1 a 5 kg per tonnellata di minerale ed è costituito, essenzialmente, da due varietà (isotopi): l'Uranio 238 per il 99,3% e l'Uranio 235 per lo 0,7% circa. Ma solo l'isotopo 235 si presta alla «fissione nucleare», cioè a quel processo che libera una enorme quantità di energia termica utile per produrre vapore e, quindi, energia elettrica. Bisogna, però, notare che il «combustibile» utilizzato nei reattori nucleari più diffusi nel mondo deve avere una percentuale di Uranio 235 superiore a quella riscontrabile nell'uranio naturale. Ne deriva la necessità di «arricchire» l'uranio naturale, per aumentare tale percentuale fino ad un valore compreso tra il 3% ed il 5%, con processi industriali che prendono il nome dalla tecnologia usata: «diffusione gassosa» o «ultracentrifugazione».
Fuori dal reattore, l'«arricchimento» è l'operazione forse più nota del «ciclo del combustibile uranio», che ne richiede molte altre: dalla sua estrazione e concentrazione in miniera, nel suo stato naturale, fino alla fabbricazione degli elementi di combustibile da inserire nei reattori. E poi, dopo 3/4 anni di permanenza efficace nel reattore, il «ritrattamento», che permette di recuperare dal combustibile usato l'uranio non «bruciato» ed una parte del plutonio «generato» durante il processo, separandoli dai prodotti della fissione non utili e dagli elementi transuranici detti «attinidi minori» egualmente generati durante la permanenza del combustibile nel reattore. (V. art. «La classificazione dei rifiuti radioattivi» - N°4 - 2011 della Rivista degli Ingegneri).
Il Plutonio 239, che si genera nel reattore dalla cattura di un neutrone da parte dei nuclei di Uranio 238 non fissionabile, non è presente in natura, ma è esso stesso fissile e partecipa in parte al processo di fissione nel reattore dove si forma.
Come già detto, durante la permanenza del combustibile in reattore, non viene «bruciato» tutto l'U235 fissile, già in quantità piuttosto modesta nel combustibile di partenza, né tutto il plutonio egualmente fissile generato (Pu239). Ma la sola parte «bruciata» genera una grande quantità di energia e di calore, tenendo conto p.es. che il contenuto energetico di 1 grammo di Uranio 235 è pari a quello di 2,4 tonnellate di carbone o di 1,6 tonnellate di petrolio circa.
Ed è questa «densità energetica» tanto elevata del combustibile nucleare che rende più facilmente comprensibile l'interesse per questa fonte di energia, non particolarmente condizionata dalla disponibilità di grandi quantità di materia prima naturale. Non sembra eccessivo affermare che la vera fonte di questa energia è la tecnologia che permette di estrarla.
Alla fase «ritrattamento» segue il «riciclaggio» dell'uranio e del plutonio recuperati, per la fabbricazione di nuovi elementi di combustibile.
Collateralmente si effettuano tutte le altre operazioni necessarie: stoccaggio, trattamento e «condizionamento» dei prodotti della fissione attualmente non utilizzabili e degli altri elementi prodotti durante il processo («scorie»), da gestire in condizioni di elevata sicurezza.
Il «ciclo del combustibile» costituisce la parte centrale dell'industria nucleare, generalmente non de-localizzabile, il cui sviluppo richiede tecnologie avanzate ed in continua evoluzione, che solo dei vasti programmi di ricerca scientifica e tecnica possono assicurare e che si riversano con continuità in tutti i settori industriali direttamente impegnati o non nella realizzazione di impianti nucleari, che innovano la loro produzione anche per tutte le altre applicazioni possibili: metallurgia, meccanica pesante, strumentazione, sistemi di controllo-comando, automatismi, tele-manipolazione, controlli non distruttivi, sistemi antisismici, genio civile, ecc.
Solo un Paese che si è dotato di un sistema industriale completo di questo tipo e dei mezzi di ricerca per sostenerlo può raggiungere una totale indipendenza energetica, per la produzione di elettricità, ed affermare una elevata credibilità internazionale per la gestione di altri grandi progetti, ben oltre i limiti già ampi del «nucleare civile». Ed assicurare al Paese uno sviluppo durevole e centinaia di migliaia di posti di lavoro di alto livello tecnico diretti ed indiretti. Destinati ad aumentare nel tempo, quando i reattori nucleari saranno adattati ad altre applicazioni prevedibili (dissalazione dell'acqua di mare, p.es.).
Resta, certo, la necessità di prodotti fossili per tutte le altre sue esigenze industriali e della vita comune. Ma la sua indipendenza elettrica ed il suo enorme potenziale tecnologico, che ha dovuto sviluppare per ottenerla, lo pongono nella posizione di poter condizionare, a sua volta e con argomenti decisivi, i Paesi da cui riceve quei prodotti. In realtà, non è più un Paese che importa energia, ma esso stesso la esporta sotto forme diverse : centrali nucleari «chiavi in mano», forniture e servizi nucleari che solo il suo «sistema industriale completo» può assicurare e, nei limiti che ritiene opportuni, tecnologia e conoscenze.
Non deve affatto stupire che anche i Paesi ricchi di materie energetiche fossili programmino o già abbiano costruito centrali nucleari e, almeno, parti importanti del sistema industriale del «ciclo del combustibile» (indipendentemente da altri scopi veri o presunti), consapevoli della necessità di non esaurire le loro riserve di materie fossili, sempre più preziose in futuro.
Dopo l'incidente di Fukushima, tutti i grandi Paesi industrializzati o in via di sviluppo, hanno riaffermato e ritenuto irrinunciabile il ricorso alla fonte nucleare - Russia, Cina ed India sono fra i Paesi più attivi nel perseguire questa politica - ed hanno in costruzione molte centrali nucleari e molte altre già programmate, che (secondo una recente inchiesta del «the Economist») dovrebbero portare la produzione totale elettro-nucleare ad un aumento del 27% entro il 2020. Pur tenendo conto della decisione della Germania di uscire dal nucleare( entro il 2022!). Ed è facile prevedere che essi svilupperanno fra di loro sempre più fruttuosi rapporti di cooperazione e di interdipendenza nucleare, avendo acquisito la consapevolezza che le «energie rinnovabili» alle quali attualmente si fa più riferimento (eolico, solare termico, fotovoltaico, biomassa, ecc.) non potranno essere che utili complementarità, da non trascurare, ma che non potranno diventare mai risolutive per le necessità di un loro sviluppo futuro durevole.
In Europa, gli inglesi hanno riaffermato la propria sovranità ed hanno scelto il cammino della Ragione, ritenendo insensato modificare la politica energetica del proprio Paese per un incidente nucleare causato da un singolare evento catastrofico naturale, che ha fatto decine di migliaia di vittime nella regione giapponese di Fukushima e nessun morto (né per cause sismiche né per radioattività) nella centrale nucleare che porta lo stesso nome.
Il 18 luglio 2011, il Parlamento britannico, con una maggioranza schiacciante di 267 voti contro 14, ha deciso di riaffermare la scelta della fonte nucleare, con un programma di aumento e rinnovamento del parco di centrali nucleari, per assicurare al Paese una produzione di energia elettro-nucleare sufficiente per il suo futuro.
È stata questa una scelta strategica ed esemplare per l'Europa, in netta contrapposizione con quella tedesca annunciata dalla Cancelliera Angela Merkel, apparentemente condizionata da forze politiche di cui non poteva non tener conto. Decisione che, tuttavia, ha ridotto ma non annullato la produzione elettro-nucleare della Germania. Restano ancora 11 anni per un eventuale riesame della situazione.
Ma, più della Germania, è l'Italia che si distingue, fra tutti i grandi Paesi sviluppati dell'Europa e del resto del Mondo, per la singolarità della sua preoccupante dipendenza energetica dalle fonti fossili, che non potrà che aggravarsi, con l'aumento inevitabile della domanda di energia e del ricorso al gas proveniente da paesi di incerta stabilità politica ed economica. L'esito del secondo e recente referendum «nucleare» frena certamente le iniziative politiche finalmente intraprese anche in Italia, prima dell'incidente di Fukushima e con la convinzione della loro necessità, per un ritorno progressivo alla fonte nucleare e la realizzazione di un primo gruppo di quattro centrali moderne (EPR) da 1600 MWe ciascuna.
Ma non è pensabile che il nostro Paese possa rimanere per sempre ed incomprensibilmente isolato in questa situazione e competere con un numero sempre crescente di potenze industriali che ritengono ineludibile il ricorso all'unica fonte energetica che potrà assicurare il loro sviluppo economico, avendo la certezza della sua inesauribilità, che si associa alla liberazione dall'incubo di un inquinamento ambientale distruttivo e che crea impegni e costi elevatissimi, con risultati molto incerti.
È questa la posizione, fondata sulla Ragione e sul Pragmatismo, di tutti i Paesi che vogliono vivere il presente e preparare il futuro.
E l'Italia non potrà che farne parte, abbandonando illusioni insostenibili ed opportunistiche miopie politiche.
*ingegnere nucleare
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