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"I burocrati hi-tech sono peggio di quelli di una volta"

La testimonianza: "Ti dicono che servono a semplificare i rapporti con gli enti pubblici. In teoria, perché poi c'è da chiedersi se sia vero"

"I burocrati hi-tech sono peggio di quelli di una volta"

«Internet, spid, la famosa Pec, la posta elettronica certificata: in teoria ti dicono che servono a semplificare i rapporti con gli enti pubblici. In teoria, perché poi c'è da chiedersi se sia vero». A parlare è una dottoressa, che racconta la sua piccola storia a condizione però che sul giornale appaiano solo le iniziali del nome, E.G. A lei l'incrocio tra nuove tecnologie e burocrazia ha fruttato un piccolo regalo dal Fisco: l'avviso di pagamento «misterioso».

Ai primi di dicembre E.G. riceve una lettera raccomandata da Agenzia delle Entrate-Riscossione (l'ex Equitalia). Secondo le migliori tradizioni burocratiche, è scritta in una lingua che sembra avere come obiettivo l'incomprensibilità. L'intestazione è da capolavoro: «Comunicazione di avvenuta notifica mediante deposito e pubblicazione ai sensi dell'articolo 26, comma 2 Dpr n. 602/1973. «Che cosa dice l'articolo 26, comma 2? E chi lo sa? Credo che anche i commercialisti avrebbero delle difficoltà, di sicuro non lo so io che faccio il medico. E per capire la lettera devi tradurla». Il testo dice che «l'indirizzo di posta elettronica certificata presente nell'INI-PEC (indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata) non è risultato valido ed attivo». Per questo Agenzia delle Entrate ha depositato in un'area riservata del sito di Infocamere Scpa un documento «secretato». Che documento è? A che cosa si riferisce? Non si può sapere. L'unica cosa che si capisce è che per recuperarlo bisogna avere il codice spid. E.G., dopo essersi registrata via internet ed essere andata personalmente in Posta, riesce ad accedere al sito e scopre che il Fisco vuole 200 euro per un errore in una vecchia dichiarazione dei redditi.

Tutto qui? Niente affatto. E.G., come professionista, è stata obbligata ad aprire una casella di posta certificata che è diventata il suo «domicilio digitale» e a cui l'Agenzia delle Entrate invia le comunicazioni. Ma la lettera dice che l'indirizzo «non è risultato valido ed attivo» e lei di mail non ne ha ricevute. Controlla attraverso il registro delle caselle di posta elettronica certificata e sembra tutto regolare. Per scrupolo interpella Aruba, la società informatica che gestisce il servizio per l'Ordine dei medici. Qui non hanno dubbi: la casella c'è, funziona ed è valida. Per provarlo inviano loro una mail certificata che arriva regolarmente. Quindi la casella c'è per tutti, ma non per il Fisco. «Adesso non ho idea di quello che devo fare. Mi hanno obbligato a scegliere un domicilio digitale, io l'ho fatto regolarmente, ma per loro non esiste. Ho paura di non ricevere qualcosa di importante e di doverne poi pagare le conseguenze.

Davvero una bella semplificazione».

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