«Prima i nostri». Era questo il combattivo slogan con cui nel settembre dell'anno scorso l'Udc, partito della destra nazionalista, sostenuto dalla Lega dei Ticinesi, presentò una proposta di iniziativa popolare per reintrodurre di fatto la «preferenza indigena». Obbiettivo: fare in modo, come diceva il testo, che «sul mercato del lavoro venga privilegiato, a pari qualifiche professionali, chi vive sul territorio». La risposta degli svizzeri italiani fu chiara: la proposta passò con il 58% dei suffragi, mentre i no furono il 39,7%.
Di fatto, però, l'iniziativa sembra arenata di fronte all'incompatibilità con i trattati conclusi con la Ue sulla libera circolazione delle persone. In estate il Consiglio federale (il governo di Berna) ha stabilito che il nuovo testo della Costituzione ticinese, con le modifiche legate al referendum, non viola di per sé il diritto elvetico. Ha anche però aggiunto che il margine di manovra del Ticino nell'attuare le nuove disposizioni è molto limitato.
Gli ostacoli? Le norme su contratti e protezione dei lavoratori, nonché la Convenzione dell'Associazione europea di libero scambio (a cui la Svizzera ha aderito con altri Paesi). Per i frontalieri, dunque, nulla è cambiato. In attesa di nuove iniziative dei partiti della destra svizzera.
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