Immigrati, missione impossibile

Livio Caputo

Durante il loro incontro della scorsa settimana, Romano Prodi e il suo collega francese de Villepin hanno convenuto che l’immigrazione clandestina è «uno dei principali problemi dell’Unione Europea». Verissimo. Peccato che non abbiano avuto l’onestà di aggiungere che questo era l’unico punto su cui c’è intesa tra i due governi: Roma e Parigi seguono infatti, in questo momento, politiche dell’immigrazione opposte. Mentre l’Italia del centrosinistra si prepara a gettare a mare, o almeno a modificare radicalmente, la Bossi Fini e ad aprire le porte a un numero crescente di immigranti anche senza le carte in regola, la Francia del centrodestra ha non solo promulgato una legge più restrittiva, ma avviato anche una campagna di espulsioni senza precedenti dei cosiddetti sans-papier, risparmiando in parte solo le famiglie con figli in età scolare. Mentre Prodi e i suoi ministri allargano le maglie dei ricongiungimenti familiari e si preparano a offrire immediatamente la cittadinanza italiana a quel milione abbondante di extracomunitari che si trova in Italia da più di cinque anni, Nicolas Sarkozy, il ministro dell’Interno favorito per la successione a Chirac, ha fatto della lotta all’immigrazione clandestina uno dei suoi cavalli di battaglia elettorali, non esitando a sfidare quella parte dell’opinione pubblica che chiede una linea più morbida.
L’abisso che separa la politica dell’Italia da quella della Francia è solo un esempio della confusione che regna in materia nella Ue e della conseguente difficoltà ad arrivare a un approccio comune. Il problema è sotto gli occhi di tutti: molti milioni di africani, dalle coste del Mediterraneo alle regioni equatoriali, e un buon numero di asiatici hanno deciso di tentare di entrare nell’Unione, a costo di investire tutte le loro risorse nel viaggio e di correre rischi mortali. In un continente già densamente popolato come l’Europa, è impensabile trovare posto per tutti, tenendo conto che parallelamente sta aumentando anche il numero degli immigranti, legali e illegali, dall’Europa dell’Est. Bisogna perciò trovare il modo di fermare l’invasione prima che ci travolga, e dopo molte esitazioni l’Unione ha creato una struttura, il Frontex, per affrontare l’emergenza. Ma non c’è accordo, né ideologico, né pratico, sul modo di procedere.
Dopo la chiusura ermetica di Ceuta e Melilla, il blocco dello stretto di Gibilterra e un efficace accordo con l’Egitto per il controllo del canale di Suez, i fronti più caldi sono in questo momento le Isole Canarie per l’immigrazione dall’Africa occidentale, Lampedusa (e un po’ tutta la Sicilia) per quella dal resto del continente. La Spagna ha chiesto l’aiuto dell'Europa, ottenendo navi e aerei, ma dal momento che nessuno se la sente di respingere le carrette del mare cariche di disperati che hanno già percorso centinaia di miglia in Atlantico, non ha ridotto sensibilmente il numero degli sbarchi. Noi mandiamo addirittura le nostre navi a salvare le imbarcazioni in difficoltà e portiamo a terra gli immigranti clandestini, assistendoli e curandoli e arrivando poi a rimandarne a casa molto meno della metà.
Ora, tutti gli sforzi sono rivolti a convincere la Libia a impedire le partenze, o almeno a permettere un pattugliamento delle sue acque da parte delle navi europee che consenta di fermare gli immigranti all’inizio del viaggio: un modo per metterci a posto con la coscienza, scaricando la responsabilità di eventuali tragedie su Tripoli. Ma la Libia, che è già stata sommersa da un milione e mezzo o due di egiziani, ciadiani, nigeriani, maliani, eritrei, somali e sudanesi, entrati clandestinamente attraverso i suoi 4.000 chilometri di frontiere per tentare l'avventura europea, non ha alcun interesse a tenerseli e pone condizioni impossibili. In Europa, d’altronde, una parte dell'opinione pubblica si oppone anche a questa forma di respingimento - per così dire - all’origine, nella convinzione che costringere chi è già a metà del viaggio a tornare indietro sarebbe come condannarla a morte, sia pure lontano dai nostro occhi.
In questa ottica, anche pattugliamenti e intercettazioni, con o senza l’imprimatur di Bruxelles, non possono essere di grande utilità. Torna perciò di attualità la tesi che l’unico modo per fermare l’invasione è investire massicciamente nei Paesi di origine degli immigrati per crearvi i posti di lavoro che questi vengono a cercare da noi. Ma si tratta più di un’utopia che di una possibilità reale, di un piano che, anche se si trovassero i mezzi, funzionerebbe solo sul lunghissimo termine, e rischierebbe addirittura l’irrilevanza di fronte a una crescita demografica esponenziale.

Nessun politico lo ammetterà mai, ma forse ci troviamo davvero di fronte alla quadratura del cerchio, un problema impossibile da risolvere.

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