RomaNon è stata una coraggiosa politica di riforme a salvare l'Italia dal baratro nel 2012. Le scelte del premier uscente Mario Monti, semmai, hanno dato un colpo all'economia reale deprimendo consumi e produzione (come certitificherà oggi la Commissione europea). A evitare il peggio è stata la Banca centrale europea. Quella che, secondo il premier, imponeva i suoi diktat al Belpaese.
Quanto la Bce sia stata importante si è capito ieri da una nota della stessa Banca centrale. L'istituto di Francoforte al 31 dicembre 2012 aveva in portafoglio titoli di stato italiani per un valore nominale di 102,8 miliardi di euro. Un pezzo importante del debito pubblico che è di poco inferiore ai 2.000 miliardi di euro.
Il nostro è stato quindi il Paese dove la banca centrale è stata più attiva con il programma di acquisto di titoli di Stato (Smp) varato per sostenere i paesi più in difficoltà nell'eurozona a causa del balzo degli spread. Piano ora sostituito dall'Omt (Outright monetary transactions). Subito dopo di noi la Spagna, con titoli per 44,3 miliardi e solo terza la Grecia con un totale acquistato da Francoforte di 33,9 miliardi. Seguono Portogallo (22,8 miliardi) e Irlanda (14,2). Differenze che rispecchiano le rispettive economie, ma danno anche la dimensione esatta di cosa sia successo nei mesi più acuti della crisi tra Francoforte e Roma. Dati contenuti nel bilancio (che comprende anche lo stipendio dato a Draghi nel 2012: 374.124 euro).
A questi si aggiungono quelli della Commissione europea delle previsioni invernali che saranno resi noti oggi a Bruxelles. E che contengono, come anticipato dal Giornale, poche luci e ombre. Pesantissime quelle sull'economia reale, con la conferma della recessione anche nel 2013. Niente ripresa, quindi, per l'anno in corso. Solo un rallentamento: dal meno 2,1% del Pil al meno 0,8% del 2013. Stima, per la verità, fin troppo ottimistica visto che una perdita secca di un punto percentuale è praticamente considerata inevitabile. Il segno più, secondo Bruxelles, tornerà nel 2014 con una crescita dello 0,8%. A deprimere l'economia italiana la domanda interna che riduce consumi e investimenti. Il calo di questo ultimi non sarà accentuato (dal meno 8,8% del 2012 al meno 2,2% dell'anno in corso), ma anche in questo caso la ripresa arriverà solo nel 2014.
Nessun miglioramento in vista, nemmeno nel 2014, per il lavoro. La disoccupazione è stata dal 10,6% nel 2012 e salirà all'11,6% nel 2013 e all'11,9 l'anno successivo. L'inflazione scenderà al 2,9% nel 2012, un punto in meno del 2011 per attestarsi al 2% nel 2014.
La commissione europea prevede che le cose vadano meglio per i conti pubblici. Il deficit nel 2012 scenderà al 2,9% del Pil. Un punto decimale in meno rispetto alla soglia del 3%. Sostanzialmente stabile il debito, al 127,9% del Pil nel 2013.
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