Bill De Blasio, il nuovo sindaco della città di New York, ha stravinto le elezioni con una valanga di voti, esattamente com'era previsto da tempo. Si legge da più parti sulla stampa italiana che la «repubblicana» New York diventa - a sorpresa, nientemeno - democratica.
Credo sia fuori discussione che la Grande Mela sia la metropoli più progressista, liberal o politicamente corretta che dir (...)
(...) si voglia, nell'universo mondo. Dalla fondazione dei partiti attuali, la stragrande maggioranza dei sindaci è stata democratica. Nel Novecento, gli unici repubblicani eletti sindaco sono l'adorato, mitico Fiorello LaGuardia (1934-45) e John Lindsay (1969-73). Il secondo mandato di Lindsay, un liberal al cubo, fu vinto su un ticket democratico. La mentalità imperante di New York è la coscienza sporca dei Bobo (borghesi bohemiens), generalmente riconosciuta con la dicitura «Upper West Side Guilty Conscience», che però non ha un limite territoriale, ma è un modo di pensare e «soffrire» (per i poveri e i diseredati, specie, ma non solo, del Terzo Mondo, e la gente di colore in generale) ampiamente diffuso nei cinque borough (distretti) della città, con una concentrazione particolare nella parte nord-ovest di Manhattan. Si sentono in colpa per il loro benessere, i begli appartamenti ampi con vista su Central Park, le scuole private per i figli. Esistono certamente i conservatori, ma sono minoranza e si esprimono solo quando si trovano tra di loro. Ci sono «partigiani di destra» anche nell'Upper West Side, ma si muovono e si esprimono con circospezione, per non farsi accorgere, pena l'espulsione dai giri che contano, sociali, politici e culturali.
Bill De Blasio avrebbe probabilmente vinto le elezioni in ogni caso, data la debolezza di Joseph Lhota, che pare abbia, oltre a curriculum di rango, una forte e colorita personalità, rimasta però invisibile durante la sua scialba performance in campagna elettorale. Il candidato conservatore moderatissimo (non è contrario all'aborto e nemmeno al matrimonio omosessuale) ha pagato lo scotto dell'impopolarità del Tea Party, l'agguerrita, organizzatissima minoranza repubblicana, bestia nera dei Bobo di ogni risma, colpevole d'aver provocato il celebre shutdown che ha paralizzato l'attività del governo di Washington e si oppone all'Obamacare come incostituzionale. Il ventennio repubblicano è iniziato con l'elezione per due mandati di Rudolph W. Giuliani, arrivata quando la città non ne poteva più di disoccupazione e microcriminalità dilagante, degrado urbano, sporcizia, pusher e lavavetri aggressivi ad ogni angolo di strada, insicurezza persino a portar fuori il cane di notte anche nell'elegante Upper East Side, per paura di un mugging, un tipo di rapina di strada con piccole armi (di solito coltelli) e bullistica violenza che prendeva di mira gli anziani innanzitutto, ma non solo. Persino gli artisti e i ricchi progressisti reclamavano legge e ordine. Giuliani diede nuovo impulso alle forze di polizia per fermare e perquisire persone sospette. È vero che questa politica colpiva in particolare ragazzi di colore - il cosiddetto racial profiling -, ma la scomoda verità è che c'è un'abbondanza di delinquenza in quelle comunità, come dimostrano i profili delle persone schedate per crimini e misfatti. Fatto sta che gli otto anni di Giuliani seguiti dai dodici di Bloomberg hanno consegnato a De Blasio una città rinata, luccicante, splendida (parola di Federico Rampini), quartieri una volta infrequentabili diventati parco giochi per famiglie (Times Square, per esempio) e libertà di girare a tutte le ore senza temere per la borsa o la vita. Ma le esigenze cambiano. Ora si narra del divario crescente tra ricchi e poveri, degli affitti stratosferici che hanno già reso impossibile ai più giovani vivere a Manhattan; e anche Brooklyn, dove si sono spostati in massa, dicono che prima o poi non se la potranno più permettere. Veri o esagerati, questi temi più l'odio per Wall Street e le banche hanno decretato il successo di un candidato democratico. I giochi erano fatti già prima, ma quando Bill ha spinto il figlio caffelatte con un afro gigantesco a fare uno spot a favore di papà, non c'era più trippa per gatti. La moglie afroamericana, poi, era lesbica dichiarata prima d'incontrare il marito: una manna per il correttismo politico modaiolo. Che De Blasio si chiamasse in verità Wilhelm, che ha respinto il nome del padre d'origini tedesche, reduce, alcolista e malato di cancro suicida, non fregava niente a nessuno. Così come non passava che Lhota era ceco con eque ascendenze italiane ed ebree, figlio di un poliziotto, nipote di un pompiere, il primo della famiglia a laurearsi. E poi c'è la legge non scritta della politica americana: dopo vent'anni di chicchessia, «It's time for a change»: è ora di cambiare. Beato il Paese che ottiene il turnover con i voti nelle urne, anziché con i cimici e lo squilibrio tra i poteri.
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di Anselma Dell'Olio
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