IL DIRITTO DI SAPERE

Costretta ad occuparsi dell’«affaire» Unipol e delle intercettazioni, pubblicate su queste colonne, in cui il segretario dei Ds Piero Fassino ha un ruolo di protagonista, l’Unità di ieri ha usato toni forti: che solo per un riguardo a chi fa il mio stesso mestiere non definisco intimidatori. «Camera, magistratura e authority mettano fine ai veleni contro di noi» recitava il titolo di prima pagina, invocando il tallone di ferro dei pubblici poteri contro chi aveva attentato alla sacralità del Botteghino. In altri tempi sarebbero forse stati sollecitati l’anatema e la scomunica. «L’aggressione del Giornale» era l’incipit della cronaca.
Poiché, nonostante le esperienze di vita, ho ancora l’ingenuità di prendere sul serio le parole dei politici, almeno quelli che stimo, pensavo che Fassino avrebbe inviato al Giornale una lettera di ringraziamento. Proprio lui, in un’intervista alla già citata Unità - che non ho il cattivo gusto di definire quotidiano di famiglia o quotidiano bancario - aveva testualmente affermato: «Spero che i testi delle telefonate vengano resi pubblici in modo che tutti possano constatare che si tratta di conversazioni puramente informative e che non c’è niente altro che uno scambio di opinioni». È stato accontentato - e ne deve rendere merito proprio al Giornale -, perché se la prende tanto? La constatazione è diventata aggressione.
Per bocca del suo portavoce Roberto Cuillo, Fassino declassa a «presunte» le intercettazioni, e si scaglia contro una campagna con cui si cercherebbe «d’intorbidare la vita politica del Paese». Tanto per fare chiarezza anziché intorbidare, Fassino - o Cuillo per lui - avrebbero dovuto precisare cosa significa quel «presunte». Vere o false le intercettazioni? Questo è il punto, molto più importante, per la gente comune - e tra questa pongo tanti militanti diessini - delle dotte disquisizioni sulla liceità della pubblicazione. Non mi nascondo le insidie cui le intercettazioni espongono gli intercettati. Ma quando non siano volgare e gratuito pettegolezzo, coinvolgente aspetti intimi e privati, le considero molto meno insidiose di silenzi ipocriti e di sussurri ambigui.
Prima Antonio Fazio, poi Fassino. «A chi la tocca la tocca» come per la peste manzoniana. Altro è l’ambito procedurale e giudiziario - affrontato dagli esperti di diritto - altra è la valutazione del cittadino che guarda alla sostanza. La gente vuol sapere, anzi deve sapere. Con tutti i suoi difetti la democrazia americana, mettendo ora sotto accusa il New York Times per non aver dato una notizia, ha a mio avviso onorato il suo passato e il suo presente.
Era robetta futile, attinente alla sfera personale, quella che il Giornale ha rivelato? Fermo restando che nelle parole di Fassino non si ravvisa nulla di rilevante per la legge, resta il fatto che non era robetta futile. Si trattava dell’intromissione tifosa del segretario diessino in una operazione finanziaria gigantesca e discutibile, si trattava insomma d’un intenso contatto o contagio tra la politica e manovre finanziarie oltremodo spregiudicate, proprio ciò che la sinistra, proclamandosi dura e pura, ha sempre rimproverato ai «forchettoni» democristiani o ai plutocrati berlusconiani. La contraddizione - e l’imbarazzo che ne deriva - sono stati colti dal «popolo» diessino che ha inondato l’Unità di lettere sdegnate o accorate. Dunque il veleno non stava nella pubblicazione, stava nelle cose.

Di fronte a quella valanga di miliardi manovrati ma anche lestamente incassati la «base» onesta s’è sentita tradita e smarrita. La sinistra non solo è contaminata dal denaro ma - caso Tav - non sa decidere nemmeno ciò che ha già deciso. Per l’elettore di quella parte è un dramma.

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