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Fuori le telefonate

Mi sia consentito un ragionamento. Non parteggio né per Giorgio Napolitano né per Antonio Di Pietro in questa polemica odiosa, ma che sarebbe assurdo fingere non esista. Il pomo della discordia fra i due è noto: la supposta trattativa fra mafia e Stato, avvenuta (...)

(...) un paio di decenni or sono.
Roba vecchia e rancida. Secondo certe ricostruzioni - cui credo poco - alcuni uomini delle istituzioni avrebbero negoziato con rappresentanti della Piovra per far sì che questa tralasciasse di compiere attentati. In cambio del «cessate il fuoco» l'abolizione o l'ammorbidimento del cosiddetto 41 bis, cioè la tortura, a norma di regolamento, dei criminali (organizzati) finiti in galera.
Obiezione. Sarebbero stati identificati gli uomini della legalità (si fa per dire) incaricati di fare patti con i delinquenti, ma non questi ultimi. Strano. Qualsiasi accordo prevede due parti in causa. Qui invece c'è una parte sola, l'altra è senza volto, fantasmatica. Vabbè. Sorvoliamo. Tra o negoziatori perbene ci sarebbe stato anche Nicola Mancino, già ministro dell'Interno e presidente del Senato. Il quale, sentendo il fiato dei magistrati di Palermo sul collo, telefona varie volte al Quirinale per aver conforto (solo conforto?) dall'amico Giorgio Napolitano.
Le conversazioni vengono intercettate e registrate. Lecitamente o no? Non si sa. La regola non è chiara. Forse non c'è. Non possiamo entrare nel merito della faccenda perché non la finiremmo più. Il problema è un altro. Il capo dello Stato, indignato, ricorre contro la Procura. Sostiene che l'istituzione va tutelata. Occorre riservatezza. Giusto. Tuteliamola. Ma perché in analoga circostanza l'istituzione Palazzo Chigi fu, invece, sfregiata? Come? Le chiacchierate imprudenti del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sempre incollato al cellulare, furono divulgate alla più non posso.
Dunque i bla bla di Napolitano sono coperti da segreto e quelli del Cavaliere no. Difficile capire perché si usino due pesi e due misure. È un fatto che il presidente della Repubblica, davanti al pericolo che i Pm procedessero, si sia irritato e mobilitato per bloccarli. La diatriba continua. Si inserisce Di Pietro che ne dice di tutti i colori contro il Colle. Interviene anche il Csm. Il procuratore Antonio Ingroia è promosso e rimosso: destinazione Guatemala. Lontano dagli occhi, lontano dai glutei. Ma la polemica non si placa. Il leader dell'Idv rincara la dose. In una intervista rilasciata al settimanale rizzoliano Oggi, attacca di brutto Napolitano: «Un comunista che a suo tempo teneva i rapporti con l'Unione Sovietica da cui il Pci riceveva finanziamenti illeciti, come ben raccontò Bettino Craxi in tribunale».
Apriti cielo. Tonino è massacrato dalla sinistra: «Come osa?». Anche la destra lo bacchetta: «Se è vero quanto dici, avresti dovuto agire contro di lui e non soltanto contro il povero Bettino, che, viceversa, ha pagato per tutti, mentre il Pci fu salvato da Mani pulite».
Errore. Il finanziamento illecito dei partiti avvenuto prima del 1989, per effetto dell'amnistia approvata lo stesso anno, non era reato nel 1992. Di Pietro non avrebbe potuto perseguirlo. Quindi, il discorso dell'ex magistrato su Napolitano non è di tipo giudiziario, bensì politico. A Tonino si possono rimproverare tante cose; non questa. Ma al di là di certi particolari, una domanda va posta al capo dello Stato. Per quale motivo non tira fuori le conversazioni telefoniche tra il Quirinale e Mancino e non ne consente la pubblicazione? Se non contengono nulla di «peccaminoso», vale la pena di renderle pubbliche, e festa finita. Altrimenti, si incrementa il sospetto, il dubbio sull'onestà dei colloquianti.
Risulta incomprensibile la tigna del presidente nel voler nascondere a ogni costo, anche quello del ridicolo, i dialoghi tra il suo (defunto) consulente legale, Loris D'Ambrosio, e Mancino. Tra l'altro, è molto antipatico che Napolitano sia tanto seccato per le intercettazioni (non distrutte) che lo riguardano, e indifferente per quelle relative a Berlusconi, servite ad esporre questi alla berlina. Poco elegante e per nulla corretto sotto il profilo etico-istituzionale.


Pazienza, bisogna abituarsi a tutto, anche all'ostracismo inflitto a Di Pietro, colpevole di aver detto - in ritardo - la verità. Chi tocca il Quirinale non muore, ma è condannato all'isolamento. La sinistra non perdona.

di Vittorio Feltri

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