MilanoBasta. L'Italia tolga di mezzo il carcere per i giornalisti e depenalizzi il reato di diffamazione. A tirarci le orecchie, adesso, è direttamente la comunità internazionale attraverso il rappresentante per i media dell'Osce, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa. Dunja Mijatovic invia una lettera accorata al ministro degli esteri Emma Bonino in cui esprime la propria «preoccupazione» e afferma che, insomma, sarebbe bene voltare pagina.
È da anni che nel nostro Paese il tema è sotto riflettori del Parlamento, ma finora tutti i tentativi di revisione della legge si sono arenati su questo o quel punto. La galera rimane lo spauracchio di chi scrive. Non sulla carta ma nella realtà, come dimostrano le storie di Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, e di Giorgio Mulè, al timone del newsmagazine Panorama. Nei mesi scorsi Sallusti è stato condannato ad una pena detentiva di 14 mesi, senza condizionale, ed è stato salvato in extremis dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha commutato il carcere in una pena pecuniaria. Ora nei guai è il settimanale della Mondadori: per un articolo che avrebbe intaccato la reputazione del procuratore di Palermo Francesco Messineo sono stati condannati a un anno di carcere un giornalista e un collaboratore della testata, mentre a Mulè sono stati inflitti 8 mesi, per omesso controllo. E pure a lui è stata negata la sospensione della pena. Se la sentenza dovesse essere confermata nei successivi gradi di giudizio, anche Mulè verrebbe privato della libertà.
Così, nel numero di Panorama oggi in edicola, il direttore si rivolge a tutti i colleghi della stampa italiana proponendo una campagna per arrivare finalmente alla tanto attesa riforma della norma. Non solo: sapendo che alla lunga l'interesse si affievolisce e le luci si spengono, Mulè fissa anche un limite di 100 giorni per agire, per fare pressione sui parlamentari e per informare l'opinione pubblica. Certo, la mobilitazione parte col piede giusto perché in contemporanea parla Dunja Mijatovic. «In una moderna democrazia - è il messaggio che il rappresentante dell'Osce spedisce a Emma Bonino - nessuno dovrebbe essere imprigionato per quello che scrive». Punto. Per questo l'Italia depenalizzi la diffamazione. Mijatovic cita il caso Sallusti, una vicenda che ha abbassato ulteriormente la già modesta reputazione del nostro Paese, poi si ancora alle sentenze della Corte di Strasburgo: «La reclusione per il reato di diffamazione è sproporzionata e dannosa per una società democratica». Parole definitive, ripetute dalla Corte dei diritti dell'uomo più di una volta. Concetti basilari, quasi elementari, che dovrebbero convincere il Parlamento a mettere il turbo per varare finalmente la nuova legge. Invece siamo sempre in serie B: «La reclusione per diffamazione ha un grave effetto raggelante che mina l'efficacia dei mezzi di comunicazione».
Davvero, l'Italia deve smarcarsi da norme che la spingono ai margini dei Paesi più avanzati. Del resto spiega la rappresentante dell'Osce, i tribunali civili sono più che sufficienti per «rendere giustizia a chi si ritenga danneggiato nella propria reputazione».
Attenzione, questa è la strada che ci indica l'Europa con i suoi parametri e i suoi standard. Non è detto che si debba per forza depenalizzare il reato e trasformarlo in un illecito punibile in altro modo. Si può anche lasciare la diffamazione dentro il perimetro del codice penale, ma l'importante è togliere il carcere, il problema dei problemi che dà scandalo oltre confine. Non deve essere più possibile colpire i giornalisti come accadde negli anni Cinquanta al grande Giovannino Guareschi, il padre di don Camillo, portato in carcere per quello che aveva scritto su Alcide De Gasperi.
Storie lontane, ma purtroppo ancora attuali.
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