di
e Alessandra Fossati*
Caro Direttore,
sull'onda emotiva del recentissimo caso di condanna alla reclusione del Direttore di Panorama Giorgio Mulé, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dottor Edmondo Bruti Liberati, ha emesso un provvedimento certamente innovativo per cui tutti i magistrati dell'Ufficio sono stati invitati ad effettuare una ricognizione di tutte le indagini pendenti presso di loro per il reato di diffamazione a mezzo stampa e a riferire, all'esito, al Procuratore.
Una novità assoluta che si può cogliere solo con un plauso, ma che purtroppo nasconde un risvolto grottesco: nel 2013, nel pieno della rivoluzione tecnologica che riguarda il mondo dell'informazione e della comunicazione in cui impera il binomio comunicazione-globalizzazione, e dove si rende necessario affrontare la questione secondo un'etica planetaria intesa come sistema minimo di valori condivisibili e compatibili, in cui tutti (o quasi) da semplici lettori siamo diventati internauti, fa riflettere che occorra un intervento di imperio del Procuratore in tema.
L'auspicio è che il provvedimento del Procuratore Bruti Liberati rappresenti un esempio concreto di un fattivo intervento non solo e non tanto verso la riforma della depenalizzazione del reato di diffamazione (o varie soluzioni intermedie, peraltro non sempre condivise da parte di chi scrive, quali il carcere limitato solo ai «casi più gravi»), ma di un rinnovamento, o meglio di una rinascita della libertà di pensiero e della sua manifestazione, da qualunque parte promani.
È venuto il tempo di inaugurare l'anno zero della libera manifestazione del pensiero, in maniera assolutamente trasversale, dalla politica alla magistratura, ai media.
Il pensiero libero nasce come quel pensiero che non accetta di essere controllato da nessuna autorità o forma di potere, sia esso politico, religioso, spirituale, economico o di altra specie. La libertà di pensiero è necessaria perché ha una grande utilità sociale e senza di essa nessuna società può né cambiare né progredire in nessun campo.
E la libertà di pensiero non può prescindere dalla libertà di parola e di espressione.
Ed è sulla manifestazione del pensiero e sulle sue modalità espressive che occorre lavorare. Un corretto esercizio della libertà di espressione consentirebbe di «regolare i conti» nell'arena della dialettica e della contrapposizione delle opinioni senza dover ricorrere alle aule giudiziarie e senza dover necessariamente vestire i panni del «diffamato» e del «diffamante». Sarebbe sufficiente essere tutti contraddittori alla pari nell'agorà della comunicazione.
Imbrigliare le idee e le opinioni con anacronistiche pene detentive o, in ambito civile, con esemplari condanne risarcitorie non ha alcuna efficacia riparatoria, piuttosto ne ha di certo una censoria.
Non è con il carcere o con risarcimenti esemplari (che neppure vengono concessi per il caso della perdita di congiunti) che si interviene sulla manifestazione del pensiero, libero.
Probabilmente occorre, come indicato anche dalla collega Caterina Malavenda, offrire maggiori garanzie e rimedi. Un buon inizio, ad esempio, potrebbe essere quello di dare più ampio spazio ad un rimedio - già regolamentato ma poco utilizzato o utilizzato non adeguatamente nel nostro sistema - che è quello della rettifica, magari anche spontanea, ma completa.
È necessaria una presa di coscienza di tutti gli addetti ai lavori.
*Avvocati del Foro di Milano
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