Marò, ogni giorno che passa è uno schiaffo all'Italia

Che la partita sia truccata è evidente. Quel 15 febbraio nel golfo di Kerala navigano almeno altre tre navi sospette. Tre navi che potrebbero aver aperto il fuoco sul St Anthony e ucciso i due pescatori...

Marò, ogni giorno che passa è uno schiaffo all'Italia

Prima si sono fatti beffe del diritto internazionale, poi han­no preso a pesci in faccia la no­stra Marina, la nostra Amba­sciata, il sottosegretario Staf­fan de Mistura e il ministro de­gli Esteri Giulio Terzi. Cicero­ne direbbe «Quo usque tan­dem abutere patientia no­stra? », ma scomodare Cicero­ne di fronte all’arroganza in­diana è eccessivo. Qui l’unico elemento in comune con l’anti­ca contesa è l’uso della forza popolare. Catilina contava sulle plebi. L’India usa il pe­so di 800 milioni di abitanti e di un’economia emergente per candidarsi a grande potenza e legittimare uno sfacciato arbitrio internazionale. Non comprende che il rispetto internazionale non si guadagna barando e umiliando l’avversario.

Che la partita sia truccata è evidente. Quel 15 febbraio nel golfo di Kerala navigano almeno altre tre navi sospette. Tre navi che potrebbero aver aperto il fuoco sul St Anthony e ucciso i due pescatori. Una di queste, la petroliera greca Olympic Flair, ha anche sventato un attacco molto simile a quello subito dalla nave italiana. Quando la polizia di Kochi comunica di aver catturato un’imbarcazione pirata e invita chiunque abbia subito un assalto a tornare in porto per riconoscere la lancia sospetta, gli unici ad abboccare sono gli italiani della Enrica Lexie. O sono matti o hanno la coscienza a posto. Altrettanto non si può dire degli indiani. Usare l’inganno per far uscire dalle acque internazionali una nave colpevole soltanto di aver legittimamente respinto un attacco di pirati significa farsi beffe di leggi e consuetudini. Equivale a giocare con un mazzo di carte truccate. A quel primo atto illecito e scorretto ne seguono almeno altri tre. Il secondo è la decisione di seppellire i due pescatori senza eseguire un’autopsia. Il terzo è esigere il fermo dei due fucilieri di marina senza esibire prove e salendo con la forza sulla Enrica Lexie.

La ciliegina sulla torta, l’atto più scorretto e disonesto, è quello messo in atto sotto gli occhi del nostro ministro Giulio Terzi. Dopo aver concordato una perizia balistica comune ed aver utilizzato quell’accordo per mettere le mani sulle armi dei nostri marò, le autorità indiane fanno marcia indietro e rifiutano di rispettare i patti. A sentir loro i due carabinieri italiani inviati come periti non possono assistere all’esame balistico. Dopo averci sbattuto in faccia quattro carte truccate, pretendono mano libera nel confezionare la quinta, quella che permetterebbe di provare la responsabilità dei nostri militari, far piazza pulita della trattativa diplomatica e imporci il ricatto politico od economico per ottenere la loro liberazione. A questo punto bisogna dire basta. Ormai non è più in gioco la libertà di due militari, ma l’onore del nostro Paese. È come se per liberare un connazionale rapito mandassimo un ministro a negoziare con i banditi.

Se la diplomazia non è il modo giusto per liberare i due marò, allora paghiamo il riscatto ai rapitori travestiti da grande potenza emergente e portiamoli a casa. Ma non perdiamo più tempo.

Non accettiamo più di sedere allo stesso tavolo con chi tenta di piegarci con la forza e i sotterfugi. Ricordiamoci che a discutere con i truffatori si rischia di venire confusi. Non dimentichiamoci che quanto più durerà la prigionia dei marò, tanto minore sarà la credibilità dell’Italia sulla scena internazionale.

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