Cronache

Mia figlia all'estero a studiare E io rivaluto il liceo italiano

In Canada puntano su problem solving e internet. Noi saremo pure in ritardo tecnologico, ma con Omero e Virgilio formiamo la mente

Mia figlia all'estero a studiare E io rivaluto il liceo italiano

Sempre più spesso gli studenti liceali italiani scelgono di trascorrere un semestre del quarto anno del corso di studi all'estero.
Per chi se la sente è un'esperienza davvero importante: per la prima volta i nostri ragazzi si trovano completamente fuori dalla famiglia, dove sono troppo protetti e assistiti, imparano una lingua straniera non sui libri ma nella vita quotidiana e infine si confrontano con metodi di studio molto diversi da quelli cui erano abituati. Insomma le certezze vengono sostituite dall'urgenza di mettersi in discussione tutti i giorni a migliaia di chilometri da casa.
Su tali premesse anche la mia prima figlia, Giulia, diciassettenne romana iscritta al secondo liceo classico Mamiani, da alcune settimane è volata ad Ottawa, Canada, per seguire i corsi in un istituto equivalente. E via Skype mi racconta le sue impressioni a proposito di un impatto certo non facile per chi fino a ieri si esercitava con profitto sulle versioni latine e greche. La scuola nordamericana segue di pari passo la modernizzazione della società: aule molto grandi, taglio delle lezioni più simile all'università che alle nostre superiori, insegnanti friendly e niente affatto cattedratici, uso costante della tecnologia con computer a disposizione di tutti, stampanti, wifi, wireless ecc…
Le materie vengono svolte a blocchi, per cui i ragazzi scelgono un numero limitato di corsi (circa quattro) e li seguono per alcuni mesi, dopodiché cambiano. Il taglio della scuola è decisamente scientifico e pragmatico, improntato sul cosiddetto «problem solving»: di fronte a un qualsiasi quesito lo studente deve trovare la soluzione più adatta e non è detto che ve ne sia una soltanto.
C'è dunque più di una buona ragione per provare questo soggiorno in terra straniera, anche per rendersi conto che la scuola italiana è, a suo modo, una delle migliori del mondo. Si pensi allo studio, così faticoso, del latino e del greco: è la base di una civiltà classica ben poco utilizzabile nella pratica quotidiana, eppure lo strumento che consente un'apertura mentale e un metodo sul quale il nostro studente può vivere di rendita. L'insistere, al limite del paradosso, su Omero, Virgilio e Manzoni, il prenderne i testi e sezionarli per un anno intero, consentirà poi di affrontare qualsiasi poema o romanzo e capirne la struttura. L'offerta formativa è, inoltre, molto più ricca: i nostri liceali studiano contestualmente filosofia e chimica, storia e biologia, storia dell'arte e fisica, abituati a slittare su piani, argomenti e metodi diversi. Insomma la loro mente deve essere allenata a continui scarti e cambiamenti.
Certo la scuola italiana è piena di difetti, a cominciare dalle strutture, vecchie, cadenti, inadeguate, per continuare con la sindacalizzazione professionale imbevuta di ideologismo a buon mercato sessantottino (ma finalmente la generazione dei «rivoluzionari» sta andando in pensione). Molti insegnanti sono refrattari di principio ai cambiamenti, considerano Facebook un male e non uno strumento e usano la Lim (lavagna interattiva multimediale) invece che per internet scrivendoci sopra con i pennarelli.
Eppure, parole di Giulia, in Italia se ti capitano docenti bravi puoi imparare tantissimo e la ricchezza della tua preparazione culturale non ha uguali con gli studenti stranieri. Magari saremo poco informatici, l'inglese si potrebbe imparare meglio e il senso pratico non viene esattamente sviluppato, però in quanto a strumenti culturali i nostri migliori liceali sembrano eccellere per brillantezza, fantasia ed estro.
All'inizio di ogni anno scolastico qui in Italia i problemi sono sempre gli stessi, da quando sui banchi ci andavamo noi. Presa al netto della sua eterna irresolutezza, a partire dalla scarsa considerazione per il tema urgente della formazione professionale, la nostra scuola non sembra affatto male. È che noi siamo autolesionisti per principio.

Vado dunque controcorrente: felice che mia figlia sia all'estero dove imparerà ad accelerare le soluzioni, ma consapevole che il top della preparazione culturale lo ha ricevuto dal vecchio e irriformabile liceo classico italiano.

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