RomaSe il governo Letta cadrà non sarà per il caso Cancellieri. Sembra chiaro, ormai, che da Palazzo Chigi al Quirinale la blindatura del ministro della Giustizia sia perfetta e il centrodestra con più decisione, il centrosinistra con forti mal di pancia, completano il cerchio.
Alle dimissioni la Guardasigilli non pensa proprio e a chiedergliele sono rimasti in pochi: M5S, con la sua mozione di sfiducia, Sel e alcune voci isolate in un polo e nell'altro come Pippo Civati del Pd.
In volo per Strasburgo, dove tratterà proprio di carceri sovraffollate e processi troppo lunghi al Consiglio d'Europa, la Cancellieri potrà dare gli ultimi ritocchi al discorso di domani. Spiegherà, prima al Senato e poi alla Camera, la natura del suo intervento «umanitario» per la figlia di Salvatore Ligresti, Giulia, detenuta per l'inchiesta Fonsai e uscita dal carcere perché a rischio suicidio anche perché ammalata di anoressia. Uno dei tanti casi «doverosi» di cui si è interessata, assicura.
L'imbarazzo per l'amicizia con la famiglia dell'immobiliarista siciliano accusato di falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato dai pm di Torino e per i rapporti d'affari (d'oro) con la Fonsai del figlio Piergiorgio Peluso, la Cancellieri non lo fa trasparire affatto. E si fa forte delle dichiarazioni che negano ogni pressione sia del procuratore Gian Carlo Caselli e dei titolari dell'indagine, che del vicecapo del Dap Francesco Cascini, secondo il quale la sua segnalazione di un caso a rischio non influì sulla decisione finale perché le condizioni di salute della Ligresti avevano già avviato l'iter per arrivare agli arresti domiciliari. «Come le dissi- spiega Cascini -, sapevo già di quel caso particolare, seguito con attenzione da chi di dovere. Per questo non ho chiamato nessuno, e soprattutto lei non mi ha più chiesto nulla. Il mio collega Pagano (l'altro magistrato del Dap chiamato dalla Cancellieri, ndr), invece, ha telefonato al provveditore regionale, che gli ha risposto la stesa cosa: sulla situazione di Giulia Ligresti erano tutti allertati e le sue condizioni erano seguite con attenzione».
Il Pdl è pronto a credere a questa versione e a difendere il ministro, ma insiste sui «due pesi e due misure», ricordando che ben altro trattamento fu riservato al suo leader per una «analoga» telefonata in Questura a favore di Ruby. «Per cose centomila volte meno rilevanti Silvio Berlusconi si è beccato l'incredibile condanna a 7 anni», sbotta Maurizio Gasparri.
Anche Raffaele Fitto, dei cosiddetti «lealisti» sospettati di voler sfasciare le larghe intese alla prima occasione, assicura che quello della Guardasigilli non sarà il pretesto per affondare o «indebolire» con un rimpasto il governo di Enrico Letta. Semmai, sarà la questione della decadenza del Cavaliere o la legge di Stabilità.
Sì, per quest'ultima Letta rischia ben più che per il caso Cancellieri, assicura Renato Brunetta. Per il capogruppo Pdl alla Camera gli «interessi politici» dietro la richiesta di dimissioni del ministro con l'obiettivo di colpire il governo, sono a sinistra, non nel Pdl.
Nel Pd si preferisce replicare sul caso Ruby, più che anticipare un giudizio sulla vicenda, per non alimentare gli scontri interni.
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