Roma Quelli che per Monti erano tecnici, nel lessico di Bersani diventano «energie civiche». E Piero Grasso è il capolista Pd di una schiera di campioni della società. Lo preannuncia il segretario del Pd nella conferenza stampa in cui presenta il procuratore nazionale antimafia come il «simbolo della legalità», l'uomo capace di provocare la «riscossa civica» del Paese.
Se la gioca bene la carta Grasso, Bersani. È il supertecnico che può far meglio dei tecnici di Monti, il magistrato che in politica sarà ben diverso da Ingroia. Capolista, ma dove si deciderà dopo le primarie. E poi ministro, forse Guardasigilli?
«Sono un dilettante della politica - frena l'interessato - nel senso che la faccio per diletto. Non mi pongo il problema e non metto condizioni, voglio portare avanti le mie idee e discuterne in modo trasversale». Il leader dei democratici evita la domanda («Ora pensiamo a vincere, poi penseremo al governo»), ma una cosa la chiarisce: «Proporrò alla Direzione che non ci siano ministri candidati nel Pd». Questione di «coerenza», di «stile», sottolinea allude alle voci su Profumo, Balduzzi, Barca di cui si parla come prossimo segretario. E infatti Bersani aggiunge: «Il che non significa che chi ha ben fatto non possa essere ancora utile a questo Paese».
Quanto a Grasso, per il leader Pd «sarà un ponte verso la società, con una grande apertura mentale a trovare tutte le convergenze per spingere le riforme». A incominciare dalla giustizia, naturalmente. Il superprocuratore annuncia una rivoluzione «graduale» e condivisa, una «costituente della giustizia» con le «migliori menti», per realizzare le idee finora inutilmente proposte alla politica. Grasso fa eco all'ex collega Gerardo D'Ambrosio, che lascia il Senato con gli auguri alle toghe in arrivo ma denuncia di essere riuscito a fare ben poco, perché a «frenare» non era solo il Pdl.
Lui, il capo dimissionario della Dna, parla da tecnico. E i tecnici di Monti comincia subito a criticarli, a partire dal ministro Severino, la cui legge sulla corruzione rappresenta «qualche passo avanti, ma non risolverà certamente i problemi» ed è frutto del «compromesso della politica». «Da quanti anni - chiede Grasso - parliamo di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio ma quando realizziamo le riforme?». Sembra convinto che lui ci riuscirà. Se la politica è fatta di compromessi, dice, lui crede nell'«utopia, come qualcosa non di irrealizzabile ma solo di eccezionale».
È preparato a difendersi dalle polemiche sui troppi magistrati in politica, replica alle obiezioni, fa del suo caso un unicum ben distinto dagli altri. Uno in particolare. «I problemi di Ingroia non sono i miei», dice Grasso. «Io non salgo, non scendo in politica, mi sposto». Con un «taglio netto» dopo 42 anni in magistratura. «Appendo la toga al chiodo», spiega con una metafora calcistica. Altra differenza: aver esercitato la sua funzione a livello nazionale, non in un territorio particolare, per cui occorrerebbe un «periodo di decantazione» prima di candidarsi. «So però che le mie indagini - dice Grasso - hanno lasciato il segno, anche nella politica e ho chiesto di non candidarmi in Sicilia, anche se mi costa non aiutare la mia terra». Per apparire trasversale, almeno formalmente tende una mano a Ingroia, da cui molto lo divide. «Da procuratore ho cercato di unire e Ingroia è un collega valoroso. Abbiamo bisogno di schiene dritte e chiunque si identifichi in certi principi è benvenuto».
Bersani racconta come l'ha convinto a schierarsi con il Pd. A partire dal 17 dicembre al brindisi di fine anno col Capo dello Stato: «Gli ho detto che volevamo mettere davanti la moralità e il lavoro, la questione della legalità è una priorità assoluta e gli chiesi di darci una mano». Poi gli incontri, la proposta, l'accordo.
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